martedì 18 maggio 2010

scritto in morte di sanguineti


C’erano tante cose che mi piacevano di Sanguineti, a cominciare da quel nasone che spuntava deciso sulla copertina di Mikrokosmos, l’antologia da lui curata dei suoi lavori preferiti in cui mancava però una delle nostre poesie preferite, senza titolo, da Reisebilder, cosa di cui spesso ci dispiacevamo. Uso il plurale perché parlo del mio gruppo poetico, quello con cui ci siamo letti e appassionati alle sue opere, per ribadire come una persona tanto lontana da noi per età e cultura e distanza geografica possa comunque parlarci, anche attraverso un linguaggio non sempre semplicissimo, per mezzo della poesia.
L’abbiamo detto tante volte con gli altri che un giorno o l’altro avremmo dovuto beccarlo in una delle sue molte conferenze in giro per l’Italia, prima che fosse troppo tardi. Qualcuno di noi ci è anche riuscito. A me personalmente la fortuna non è mai capitata. Mi ricordo una volta che scoprimmo che doveva parlare di Dante nel museo di Egnazia, antica città romana a una mezz’ora da casa nostra e ci organizzammo con due settimane di anticipo per andare a sentirlo. Ma la conferenza fu annullata un’ora prima di cominciare perché Sanguineti stava poco bene, come ci dissero i responsabili del museo, salvo poi sentire in giro voci che la vera ragione di tale malore era stata una bella indigestione a pranzo.
Non ci troverei nulla di strano. Perché questa è l’altra grande cosa che mi piaceva di lui, grande almeno quanto il suo naso, la capacità di coniugare il suo notevole pensiero intellettuale coi bisogni istintivi, naturali o primari dell’uomo. Sanguineti non ha mai negato questi istinti, mai nascosto, anzi li ha sempre esposti con divertito compiacimento, filtrandoli attraverso la lente di un’ironia acutissima, senza pari, quella che rende esemplare persino la banalissima parabola di vita borghese da lui vissuta e analizzata al microscopio e vivisezionata attraverso le sue infinite parentesi. La ferrea onestà intellettuale di Sanguineti in questo consisteva: nell’innalzare l’uomo a modello senza però rinunciare ai suoi difetti, nevrosi, nevralgie, ridicole pulsioni o vanità. Senza tale onestà oggi non sarebbe probabilmente così ammirato e apprezzato anche da generazioni di poeti molto più giovani di lui e che in lui vedono un fratello maggiore, teso a smitizzare la figura del poeta colto attraverso la cultura stessa, ridandogli attraverso la risata quella levità perduta: l’unica maniera oggi per sopravvivere in un mondo che appunto rifiuta la cultura e il libero pensiero in quanto frutto di tempo fatica e studio contro l’illusione fugace del facile successo di stampo americano, ottenuto grazie alla fortuna, all’astuzia o a un bell’involucro di sé da vendere.
Sanguineti era un uomo brutto, un comunista e difficilmente avrebbe potuto vendersi a qualcuno. Però sapeva ridere di sé, di noi, e con gusto ed è questo che rende sempre godibili persino le sue composizioni più ostiche, per una frase, un pensiero, un colpo di genio che sempre abbassa e rilancia il discorso su un piano più umano, vitale, dal fluire magmatico e talvolta indecifrabile di quell’immensa terra desolata che è la sua poesia.
C’è una storia che gli ho sentito raccontare in un video in internet, in cui racconta che nel portafogli di suo padre, quando morì, gli trovò un foglietto su cui c’era scritto, come motto per la vita “carpe diem”. E concludeva dicendo che quando sarebbe morto lui si sarebbe ritrovato lo stesso foglietto nel suo portafogli. In fondo vi è espressa in questa parabola tutta la poetica di cui abbiamo fin qui parlato. Carpe diem, cogli l’attimo, vivi in vista della morte, ma in latino.
Mi sono sempre chiesto se andando a vedere gli avremmo trovato davvero addosso quel foglietto, ma adesso mi rendo conto che non è più così importante, che in fondo quel discorso è più bello se lasciato così, senza risposta, proprio come la poesia da noi tanto amata, da Reisebilder, ed esclusa chissà perché da Mikrokosmos. La poesia parlava di un’intervista concessa a tale giornalista Gisela e finiva così, (con una di quelle chiuse straordinarie in cui era maestro):

(e il momento più felice della mia vita, ho risposto, sono stati tre momenti: e ho detto quali):

lasciando quei momenti in sospeso, per sempre.

7 commenti:

manu ha detto...

grazie, ne avevo bisogno. oggi sono rimasta senza parole di fronte alla sua morte. subito ho messo a fuoco che a lui non sarebbe piaciuto e un attimo dopo che mi avrebbe capito che nessun altro. un bacio.

sergej ha detto...

un poeta di cui confesso di conoscere pochissimo. ricordo giusto qualche poesia, qualche brano in prosa e qualche saggio dantesco che ho sempre trovato (ahimé) illeggibile.
comunque grazie per il bel ricordo. alla fin fine è questo che deve restare, di un poeta.
"he became his admirers", come diceva il vecchio auden (in morte di yeats).

Vale ha detto...

solo tre momenti

ribadisco
mi piace come parli di poesia

sergio pasquandrea ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=jqu7RPKK30s&NR=1

premio petrolio ha detto...

un amabile catastrofico ottimista! da quel naso morbido morbido scivolo volentieri nella sua scrittura, ché ci vuol nulla, la distanza tra la punta e la bocca è così poca… :)

albafucens ha detto...

di lui conosco pochissime cose.. solo piccoli stralci, ma leggere questo tuopost così accurato mi ha fatto venire la voglia di appronfondire la conoscenza delle sue opere..

come non apprezzare chi sa ridere di sè..
complimenti come sempre ^ __ ^
un abbraccio

amanda ha detto...

chi sa farsi così apprezzare e ricordare resta per sempre