lunedì 27 settembre 2010

pomeriggio dopo la vendemmia

In questi giorni stiamo realizzando, col mio giornale, un piccolo reportage sulla vendemmia, o meglio su quello che succede al pomeriggio, quando i contadini portano in cantina l’uva raccolta perché venga pigiata. Vivendo praticamente accanto a tre cantine, mi basta uscire di casa con la macchina pronta in mano. Mi interessano soprattutto le persone, i loro volti. Per lo più si tratta di gente non più giovanissima, che in campagna ci vive da sempre. È gente orgogliosa ma semplice, con quel pizzico di vanità di chi gradisce sempre che gli si faccia una foto. Inoltre è gente sfinita da una lunga giornata di lavoro, in attesa del suo turno, e quindi assolutamente pronta alla battuta. In fondo basta una risata per risollevare lo spirito. Queste sono le prime foto del reportage.








domenica 19 settembre 2010

un pensiero a calvino

19 settembre, leggo sul blog di Sergio Pasquandrea una commossa apologia di Calvino scrittore, di cui proprio oggi cade l’anniversario di morte. È una cosa che fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile, eppure anche su Calvino si abbatte con sempre più frequenza la scure del revisionismo critico. Ci si chiede: va bene che per la Scuola sia un mito, il must della scrittura italiana del ‘900, ma tutta quest’aura di santità artistica sarà poi meritata? È stato o no Calvino il genio letterario che oggi tutti ci propinano al liceo? La risposta dei più ormai è la stessa: Calvino è stato un buono scrittore del ‘900, molto abile (e furbo) ad autopromuoversi, ma di certo non il più grande e, forse, la Scuola dovrebbe fare un po’ di revisionismo anche lei e cominciare a dare spazio ad autori ben più importanti, anche sul fronte internazionale, come Svevo, Pavese, Pasolini, Gadda o Sciascia.
Ora, fermo restando che sapersi autopromuovere non è mai stato un crimine ma anzi, in ambito culturale, da sempre un merito, almeno per chi volesse vivere del proprio lavoro d’artista, e che comunque non è che Calvino sul fronte internazionale sia un signor Nessuno (basti vedere l’enorme e dichiarata influenza che ha avuto su un autore contemporaneo come Jonathan Coe), c’è da dire che: uno, Calvino fu figlio del suo tempo, e sconta il senso di distanza che l’attuale indirizzo artistico nutre proprio verso quello sperimentalismo metaletterario di cui proprio lui fu uno degli esponenti più autorevoli, al fianco di Queneau. Una cosa simile tra l’altro accade in poesia nei confronti dell’Ermetismo, con un forte senso di rifiuto anche verso poeti di fondamentale importanza come, ad esempio, Montale. E: due, come dice bene Sergio sul suo blog, la canonizzazione scolastica ammazza tutti, senza distinzioni di sorta.
Poi certo, se è vero che a lui piacque diventare un oggetto di culto della Scuola (e a chi non piacerebbe? anche a Pasolini sarebbe forse piaciuto), è anche vero che, se la Scuola lo ha santificato, non è nemmeno tutta colpa di Calvino. Come per i fatti d’amore, si deve essere in due in questo tipo di scelte. Fra l’altro, questa storia mi ricorda un po’ tutte le polemiche che da anni si sentono intorno al Manzoni dei Promessi Sposi. Sarà anche il più acclamato capolavoro dell’800 italiano ma io, e non solo, gli preferisco Verga dei Malavoglia. Però sono più contento così. In fondo, alla fin fine ci si dovrebbe anche chiedere chi ci perde di più fra Scuola e Calvino in questo rapporto di dipendenza reciproco. E sinceramente io credo che il vero perdente sia Calvino. Mentre autori come Pavese o Pasolini, proprio come Verga, sono presi con le pinze dagli insegnanti e poi, negli anni successivi al liceo, sono quelli che più a lungo restano nel cuore degli studenti, che li scoprono e se li vivono per fatti loro, senza “istruzioni per l’uso”, per Manzoni non c’è ritorno. Finito il liceo Manzoni è morto, è solo un brutto ricordo dell’interrogazione di Italiano.
Insomma, ai suoi detrattori dico, perché lamentarsi? Si studia Calvino a scuola e si legge (o si spera che si legga) Pasolini a casa. Meglio Calvino che Moccia aggiungo, e credo che nessuno, per quanto critico nei suoi confronti, possa venirmi a dire che non è d’accordo. Vorrei concludere osservando che il canone Calvino non è ancora arrivato né credo arriverà mai al livello di Manzoni. Dico queste cose a freddo, anche perché Calvino l’ho letto, l’ho rispettato ma non l’ho mai amato. Però il nostro ha scritto molti libri e alcuni molto belli, non solo il più volte citato dai critici Le città invisibili, ma anche Giornata di uno Scrutatore, Palomar, e Lezioni Americane (che, piacciano o no, sono pur sempre terreno seminale per lunghe riflessioni), e senza contare l’ottimo lavoro filologico condotto intorno al sottobosco delle Fiabe italiane e all’Orlando Furioso. Conosco, e non sono pochi, studenti che lo leggono proprio per questi romanzi e ancora lo rispettano per la sua scrittura chiara, precisa e limpida e anche perché, nonostante rifiutino le pesanti architetture di cui infarciva le sue storie, tuttavia intuiscono a pelle quella “sostanza prettamente tragica” (come la definisce Sergio) che talvolta emerge, suo malgrado, dalle pagine dei suoi libri.

sabato 18 settembre 2010

rain dogs



Metto ordine sul sedile
posteriore ma vago
e apparente. Nelle zona industriale
di notte resta qualche luce accesa
e cani randagi si accoppiano
senza prendere precauzioni.

(Vito Russo)

martedì 14 settembre 2010

diario d'autunno

Parlare di autunno non è corretto. C’è ancora un sole che picchia e picchia giù duro. Eppure basta un semplice rovescio per far tornare in gola la malinconia, in forma di brutti rospi saltellanti e che mai mi staranno simpatici.
Sarà Paolo, che mi ha chiamato per dirmi che è di nuovo in ospedale e ha deciso, ormai è sicuro, che come esce prende, si licenzia e torna in Jugoslavia, lì dove sono cominciati i suoi problemi, e io non so se essere più contento o triste, perché lì non ha davvero nessuno che gli starà accanto e quindi o la va o la spacca. O fa pace coi suoi demoni oppure si spara un colpo in fronte e la fa finita. E in tutto questo, non sapendo come comportarmi, io non dico nulla. Sto qui e lo guardo partire e comincio a credere che forse è meglio questo che restarsene a galleggiare in una bottiglia tutto triste e infelice com’è. Così non va bene.
Sarà che vado ubriaco io, perché qui vicino a cinquecento metri c’è una cantina che lavora a massimo regime per la vendemmia e dall’alba al tramonto non faccio che respirare aria di mosto. In fondo però tutto va bene. A guardarsi indietro, solo un anno fa stavo molto peggio di adesso. Non dovrei nemmeno lamentarmi. Qualcuno potrebbe anche arrivare a pensare che lo faccio per ottenere in cambio qualcosa, un po’ come i bambini che frignano perseguendo il loro scopo.
E infatti, il mio buon amico Martino, che ha fatto? Come ha visto che cominciavo a fare il bambino lunatico e un po’ troppo erratico, ha preso e, per infondermi energia, mi ha regalato l'intera discografia di Bruce Springsteen, che finora avevo sempre snobbato per quella menata che è un po’ troppo “americano”. E devo dire che ci sono cascato di nuovo. Nel senso che, almeno il primo Springsteen (il classico 1975-87, da Born to run a Tunnel of Love, e con una strizzata d’occhio a Lucky Town del ’92) mi piace molto, anzi moltissimo. Come ho fatto a perdermelo per tutto questo tempo non lo so. Bruce Springsteen è un grande, e anche se voi ora mi direte “sai che bella scoperta” io ve lo dico uguale per lanciare questa semplice e fondamentale verità al mondo, e cioè: non è mai troppo tardi. Ci vuole solo un pizzico di fiducia e la musica giusta per darsi la carica.
Ascolto musica ad alto volume in questo autunno malinconico, Neil Young pre-grunge di fine ’80 inizi ’90 e ovviamente il Boss. Con degli amici stiamo anche organizzando un concerto per domani sera: Steve Potts trio. Steve Potts è un sassofonista americano, nato nel 1943, molto nero e molto cazzuto, che ha studiato con Eric Dolphy e, fra i tanti, ha suonato con John Coltrane ed Herbie Hancock, beato lui.
Lavoro senza sosta al giornale. Nelle pause da lavoro sogno una rivista tutta mia che raccolga esclusivamente racconti di viaggio. Qualcosa di molto americano con una grafica elegante e rigorosa, belle foto grandi a mezza pagina e in bianco e nero e i testi a fronte in lingua originale. Ce l’ho tutta in testa e se non le ho dato ancora forma è solo perché mi manca il nome. Io credo molto nei guizzi d’illuminazione per queste cose, nei colpi improvvisi di genio. Perciò aspetto il momento ma ancora non mi è venuto niente di buono.
Altro progetto: scrivere un romanzo. So già che parlerà di un ragazzino che ha la barba bianca, ho in mente l’idea ma sto ancora cercando il modo di svilupparla al meglio. Amanda mi ha detto che già qualcuno ha usato un’idea simile alcuni anni fa per un film con protagonista un bambino coi capelli verdi. Non che questo mi preoccupi troppo. Alla fine non è il tema a fare la differenza fra le storie, ma il modo in cui lo svolgi. È una questione di stile.
Ho un solo problema adesso, ed è il rumore intorno. C’è troppo rumore dove vivo e per scrivere serve silenzio e concentrazione, lo sanno tutti. Devi poter ascoltare le tue idee. Non come qui che è un continuo correre di macchine e vociare e lo scavatore sempre acceso dal cantiere di fronte. Così, se qualcuno vuole fare un atto de mecenatismo puro e disinteressato, può prendere e invitarmi a casa sua per un mesetto circa, il tempo di buttare già la prima bozza (la più dura) e poi gli prometto che gli dedico il mio libro. A me pare uno scambio equo. Cos’altro si può volere di più dalla vita che una dedica su un libro?

lunedì 6 settembre 2010

cartello alla finestra



Cartello alla finestra dice: Io sto da solo.
Cartello alla porta dice: Non voglio compagnia.
Cartello sulla strada dice: Io non ti appartengo.
Cartello alla veranda dice: Già tre è una folla.
Cartello alla veranda dice: Già tre è una folla.

Lei e il suo ragazzo sono andati in California.
Lei e il suo ragazzo non hanno mai cambiato musica.
Il mio miglior amico ha detto: Io t’avevo avvertito,
Le ragazze di Brighton sono come la luna.
Le ragazze di Brighton sono come la luna.

Sembra che non voglia smettere di piovere…
Di certo stanotte Main Street sarà bagnata…
Speriamo non diventi nevischio…

Mi costruisco una baita nello Utah.
Mi prendo una moglie, pesco trote arcobaleno.
Avrò una squadra di mocciosi che mi chiamano Pa’.
Dev’essere questo il senso di tutto.
Dev’essere questo il senso di tutto.


Da Bob Dylan.

sabato 4 settembre 2010

a un poeta del secolo passato

Non più soldati, Ungà, ma reduci
tornando a casa stanchi
accartocciati, doloranti
facchini o camerieri, giornalai

senza coraggio o l’allegria
di una nuova traversata.
Soldati a corto di cordiale, dunque
ci basta il cambio del pigiama

per sognare un’altra vita, una
nuova identità d’insetti,
scarafaggi che divorano la rosa
e le succhiano bellezza dal midollo.