martedì 27 dicembre 2011

mio filone

essere io quel minatore e non
l’intera miniera
per strapparti col colpo di piccone
e non dovermi ancora
immaginare
bucolungo ancora
da scavare

sabato 17 dicembre 2011

ecco ti specchi così morirai...

Ecco ti specchi così morirai
per eccesso di cure pasticche
o scaldino nello sprazzo
di sole braccato in giardino

dove consuma lo zefiro la carne
che frolla presagendo
lo scatto vano di memoria e
denuda a ogni perdita le vene

fotografia e jazz



Da guardare ascoltando questa.

giovedì 15 dicembre 2011

ovunque sulle case

frullano i piccioni amorosi
ubriachi di sangue e di rose
in un cielo vermiglio struggendosi

giovedì 8 dicembre 2011

da capovento

Gli spiriti scrivono lettere
da Capovento a volo d’uccello
dal pozzo profondo d’inverno
fino ai confini dell’artico
scrivono lettere come sospiri
lettere sui vetri appannati
passi accennati di danza
che annunciano lo squillo di tromba
il ritorno di Louis Armstrong mai morto
tra le foglie del mangiafumo
la promessa dell’alba ma dopo
un’interminabile notte
e la fuga del negro danzante
alla caduta del vetro.

martedì 22 novembre 2011

crave (brama)

Per A. che me lo ha fatto ascoltare.



Credo che sia il sogno di ogni artista quello di riuscire a creare un’opera che per certi versi lo superi e prenda vita propria, anche a costo di mostrare più di quanto l’artista stesso non aveva immaginato di dire, o di rivelare di sé. Se questo succede allora l’opera è più grande dell’artista che le ha dato forma e si può davvero affermare che, come per Dante o Shakespeare o anche i Beatles, l’opera diviene espressione assoluta di un tempo e di un popolo, di cui l’artista si è fatto voce.
Tutto questo pensiero in realtà mi è nato ascoltando un pezzo teatrale che forse non può paragonarsi a Shakespeare, ma che pure ha preso vita fino a diventare non solo uno dei preferiti dai giovani attori dell’ultima generazione ma anche dal pubblico, che sia più o meno affezionato al teatro. Mi riferisco al monologo di A, da Crave, spettacolo andato per la prima volta in scena nel 1998, della drammaturga inglese Sarah Kane. L’opera, la più celebre e la penultima della drammaturga, morta nel 1999, parla della disperata e fallimentare ricerca d’amore fra due coppie formate rispettivamente da una persona anziana e da una più giovane, che non riescono mai a comunicare i propri sentimenti. Lo stesso titolo, Crave, che si potrebbe tradurre con “brama” o “implora”, esemplifica bene il senso di tale ricerca, quasi patologica, da parte di queste persone che chiedono, pretendono, ma non sanno più dare. E al di là dei vari risvolti sociali il testo ha degli accenti tragici, talvolta romantici, che lentamente hanno conquistato il pubblico.
Di tutto il testo il monologo di A, come ormai viene definito un estratto dell’opera che ha assunto una sua autonomia poetica, rappresenta una sorta di drammatica dichiarazione d’amore (ma fatta a se stesso, mai comunicata) da parte di A, un uomo anziano, verso C, una ragazzina di cui si è innamorato e che paradossalmente ricambia i suoi sentimenti, pur a sua volta tacendoli. Lo stupore nasce dal fatto che il monologo è diventato in breve uno dei preferiti delle attrici e dei più sentiti da parte di un pubblico fondamentalmente femminile. Insomma, pur essendo stato scritto per un personaggio maschile (e pedofilo!), il testo ha catturato alla perfezione, per il proprio implicito e disperato romanticismo o perché tocca le corde più intime dell’animo femminile, l’immaginario di molte donne che lo hanno assunto come proprio manifesto poetico. Tanto è vero che se fate un giro in internet, dove sono caricati decine di video a tema, troverete davvero poche interpretazioni dello stesso realizzate da uomini e tantissime, alcune eccessivamente caricate di sentimentalismo (lì dove il sentimentalismo va assolutamente evitato), da parte di donne che lo recitano con tale naturalezza da farne addirittura dimenticare l’origine.
Certo, viene da pensare che ad spingere così tanto il monologo in tale direzione conti il fatto che a scriverlo sia stata una donna, per di più molto giovane. La Kane, suicidatasi a 28 anni, disse di aver scritto Crave quando ormai aveva perso “la fede nell’amore” e lo indicava come “il più disperato” dei suoi lavori. E mi pare indicativo che abbia messo quelle parole, parole così profondamente connaturate al desiderio femminile, in bocca a un personaggio maschile tanto più anziano di C (child) e che quindi verrebbe a confondersi con la figura paterna, amata follemente e allo stesso tempo ferocemente respinta. È una chiave di lettura non solo per tanto seguito appassionato ma anche dei risvolti psicologici vissuti della stessa autrice mentre scriveva.
Ma in fondo, al di là di tutte le analisi o divagazioni, resta come una piccola perla di poesia d’amore, questa lunga lettera per nessuno in cui maschile e femminile si fondono, vecchiezza e giovinezza, disperazione e gioia, in una sorta di vortice emozionale nel cui occhio sereno continueranno a riflettersi, volenti o no, l'ombra di Sarah Kane e di tutte le donne della sua epoca.



In alto il monologo di A, recitato da Paola Minaccioni. Nella versione italiana il dramma della Kane è stato tradotto con Febbre.
In basso lo stesso, in lingua originale, e con voce maschile (anche se con molto meno pathos).

mia è la corona e il cappello di paglia...

Mia è la corona e il cappello di paglia
tuo il mio bracciale di perline africane
e il pacchetto di Sobranie
portato dall’ultima tua sera in Puglia

dove risuona d’acque gelate l’inverno
e di foglie morte
di bande rifugiate in ostello. E le foto
appese al muro e fuori fuoco
confortino i ricordi ancora un poco!

Ecco dunque cosa chiedi per Natale
dei nostri ex voto per sempre ricordare
e un libro vecchio
e un vero abbraccio non mi chiamare.

lunedì 21 novembre 2011

di tutte le foto scattate...

Di tutte le foto scattate l’unica
ti piace che sei di schiena
una massa informe e nera tu
di capelli ed io ci stavo dentro
adagiato come un uovo
e ridotto a pigolare a forza di risate.

venerdì 11 novembre 2011

si sente l'unto della pelle nel calzino...

Si sente l’unto della pelle nel calzino
la presa di cenere sulla mia copia di
Stella Variabile di compleanno un regalo
ormai ricordo spentosi l’anno nel calzino
disciolto di cenere di pelle dopo la muta

lunedì 7 novembre 2011

un sonetto sulla disoccupazione e la poesia

DIARIO DELL’11

Ancora una volta m’impongono
i miei di trovarmi un lavoro.
Dicono non vivranno in eterno.
Dicono che la vita è un inferno

e m’aspetta – la vita sa aspettare.
Ok mi arrendo, manderò il mio
curriculum per quel posto da babbo
natale, e speriamo vada bene.

Spicca il salto dal libro al cactus
il giovane ragno. È romantico
e infelice leggeva di Zenna.

Per salvarlo potrei reinventarlo
come mia renna… Sintonizzo la radio.
Balliamo entrambi la tarantella.

Dicembre 2006

giovedì 3 novembre 2011

l'idea della mia morte non mi dà respiro...

L’idea della mia morte non mi dà respiro
l’idea di una fine senza scampo,
quando la decrepitudine del corpo
si farà così estrema che non potrò più fuggire
od oppormi al saccheggio ti prego
prestami le tue gambe
le tue gambe così tenacemente aggrappate
alla vita le tue gambe sottili e dure
di passero-capra. Prestami le tue gambe
per salire più in alto sulla cima dei palazzi
e confondermi nella luce del tramonto
allo sguardo dei segugi. Oppure al risveglio
perché allontani con un balzo il senso
d’inutilità del giorno, se tutto ha comunque fine.

martedì 1 novembre 2011

a tutto applicavamo...

A tutto applicavamo
la nostra speciale parola
che fosse un’esclamazione, il nome
di un amico oppure di un paese
fantastico che fungesse da amuleto
e filtrasse per noi
quel che non puoi dire
il nocciolo delle cose ben protetto
da una scorza di realtà.
Tu più velocemente, piena d’ansia
d’arrivare ed io a rilento
perché pigro e per di più goloso
scavavamo in quel frutto ottobrino
con le nostre parole casuali
ridotti a poco forse ma felici
piccoli vermi ungarettiani.

domenica 30 ottobre 2011

le ridevano gli occhi

Le ridevano gli occhi
anche quando negava
o provava a restare piccina
perché nessuno le inviasse girasoli.

sabato 29 ottobre 2011

solo un cece di donna...

Solo un cece di donna
poteva mancarmi a tal punto
insinuandosi piano sotto le unghie
fra i denti
e ora che tutto appare più confuso
se afferro il mondo in corsa per tenerti
anche solo due minuti
mi si aprono fra le mani
campi umidi di zuppa – luminosa e buffa!
e così semplice al palato
com’è la vita, l’unica la sola
lezione che ho imparato in anni d’esperienza
e che tu mi ricordi come nulla
adesso
alla tua partenza.

mercoledì 19 ottobre 2011

filò sotto la manica

al münchhausen

ci sto bene io nelle vene del mondo
c’ho le chiavi del rapido –
col pene gravido

sulle pareti del fondo
io mi ci arrampico non scalpito
mi solidifico –

nel mio bassomondo io ci sto contento –
e sgrondo sgrondo –
in fondo

poteva andarmi anche più a cazzo
se da macondo non filavo
a razzo –

domenica 16 ottobre 2011

la stanza vuota

Può dunque definirsi così semplicemente mi chiedevo: una piena felicità
mentre fissavo lo spazio bianco del soffitto la stanza vuota illuminata
da una luce bassa e fredda noi due stretti per terra coi vestiti umidi
d’amore e l’odore di pioggia fuori che montava e rare auto di passaggio
mentre tu rannicchiata sul mio petto ancora caldo mormoravi: scusami
scusami
senza motivo.

sabato 15 ottobre 2011

cattiva poesia d'amore

L’amore spesso con linguaggio disumano
spera attraverso la poesia
di dare un senso ai disordini del cuore.
Confonde dunque anima con viscere
e produce aria che non sempre è canto,
che ripete strombazzando ai quattro venti
come
seppur d’amor si muore il mondo è ingiusto
e non per questo te ne dà più merito.

venerdì 30 settembre 2011

ci sono punti del tuo corpo...

Ci sono punti del tuo corpo, come sul collo l’angolo incassato fra clavicola e mento
o fra le scapole che sanno di zolfo, dove se t’accarezzo fai le fusa come un gattino
una morbida e pigra donna-gatto, dal pelo folto e nero. Mi aggrappo al cerchio
del tuo orecchino quando, come un acrobata ormai avvezzo, mi calo giù nell’arena
dei nostri guai. Ma non abbiamo memoria più lunga
dei pomeriggi che passiamo al parco, alla stazione, nascosti fra i turisti. Oppure al bar
centellinando monete o contestandoci l’un l’altro per il turno sul conto del caffè.

lunedì 19 settembre 2011

breve dialogo colto

"Ehi scusami, non l'ho ancora finito!"
"Ma sono 80 pagine, lo leggi in un pomeriggio quello!"
"Eh, ma mi manca il tempo!"
"Ma sono sei mesi che ce l'hai! Ma poi non ho capito, ti piace leggere sì o no?"
"Ah sì leggere mi piace un sacco! è che mi manca il tempo!"
"E la musica ti piace?"
"Un sacco! La ascolto sempre!"
"Ah bello! Che cosa ascolti? Che ti piace?"
"Mah, così, un pò di tutto!"
"Cavolo, dai! come funziona? Cioè, la compri al chilo o aspetti le offerte speciali?"

sabato 17 settembre 2011

al mio gatto, matisse



Tu gatto beato
che divori senza fiato
il tuo caviale.
Tu matto criminale
che affondi le tue unghie
nel ginocchio.
Tu brutto finocchio
che pretendi la mattina
di dormirmi a fianco.

mercoledì 14 settembre 2011

amanti del jazz

Ogni volta che vedo la foto di quei giovani negri
amanti del jazz e morti prematuri in b/n
che vanno in giro fieri e pieni di droga
e testosterone soffiando nei loro strumenti
e penso alle giovani vite immolate dal ghetto
e ai loro volti invecchiati e ascolto Mingus e Monk
e mangio qui la mia pesca dolce e ti scrivo
– se davvero penso a te! – chiedendo
ma dov’è mai Leningrado? – e ascolto l’assolo di Dolphy
librarsi – su questa morte continua! –
e il colombaccio là fuori così bravo a imitare
la cornacchia che annuncia cra cra
la luce del giorno è vicina attento o presto cra cra
non c’è più ombra abbastanza per nasconderci tutti!
allora forse cra cra
ma se corri veloce e ti metti al riparo cra cra
con del buon jazz nelle orecchie infuocate
allora forse cra cra
allora forse
noi

sabato 3 settembre 2011

perchè l'amore se ne va?

L’amore ha una sua vita come i gatti
nasce cresce e s’arrampica sui tetti
se va bene ha sette vite dalla sua
talvolta cade e si frattura una zampina.

Se ne va quando una casa gli va stretta
perché da solo l’ossigeno non basta
e cosa ne rimane ora si secca
come una macchia di sangue contro il muro.

martedì 30 agosto 2011

matteo


parabola zen sull'amore

Era da un po’ di giorni che, ogni mattina, trovavo l’ultimo nato delle mie tartarughe rivoltato in giardino. Pensavo, data la stagione degli amori, che duellasse con gli altri maschi del gruppo, e stavo attento ché non me lo uccidessero. Invece oggi, uscendo, ho scoperto che, fra tutte quelle che ci sono, si è scelto come compagna la più vecchia del gruppo, che è grande quasi il doppio di lui. Ha provato a montarla e non ce l’ha fatta, è caduto all’indietro ed è finito sottosopra. Io l’ho preso e l’ho rigirato: “Senti, ma perché proprio lei? Cioè, ho capito che ti piace ma ragionaci un attimo, è troppo grossa per te! Prenditene una più piccola, alla tua portata!” E lui, piccolo ma testardo, mi ha fissato nervoso negli occhi e mi ha detto: “Mi piacciono grosse, perché fanno cic-ciac!” E allora io gli ho dato una foglia di lattuga, per consolazione, e gli ho risposto: “Lo sai, tu farai strada nella vita!”

venerdì 26 agosto 2011

ragazzi "persi"







Li incontro per strada. Mi fermano chiedendomi un ritratto perché sono stati al cimitero e passeggiando fra le tombe si sono resi conto che, se anche la morte per gente così disperata e sola, senza nemmeno una donna, è meglio, non vogliono andarsene senza lasciare una traccia di sé al mondo, perché morire senza che nessuno ti ricordi è un po' come non essere mai vissuti. Proprio per questo si definiscono ragazzi "persi", e ho promesso loro che se mai farò un altro libro o una mostra, allora inserirò queste foto. In cambio, mi dicono, mi porteranno al mare una domenica, così prendo anch'io un po' di sole. Nell'ultima foto c'è uno dei due che si mette in posa per me. Io credo stia facendo Rocky. In realtà, mi spiega l'altro, è San Giorgio.

colazione in giardino


ne valeva la pena

giovedì 25 agosto 2011

anche nell'addio

Una poesia non può fissare tutto, forse appena
il senso di vertigine improvviso
che mi blocca ad un semaforo al ricordo
dell’odore del tuo corpo contro il mio.
E la pace ed il mistero di quel bacio
così a lungo sognato, di me fuoriuscito dal buio
a chinarmi sul tuo corpo confuso
con quello dei gatti. La mia prima alba
alla tua partenza, tinta di un rosa che mentiva
e prometteva toppe e saldature
alle falle in me scavate per l’assenza del tuo corpo.
Ecco, una poesia non può fissare tutto, serve appena
per comunicarti lo scarto che fa la differenza
sui minuti, il profumo del caffè quella mattina
mentre osservavo quell’alba dal balcone
e mi dicevo adesso è tutto da ricominciare
a partire da una semplice pomata
contro le punture di zanzara, perché la vita
è molto elementare e solo in te, anche nell’addio
ho trovato dei motivi di assoluta perfezione.

mercoledì 24 agosto 2011

sul finire d'estate

Ora immagino, com’è mio solito, d’essere stato appena una
delle tue molte avventure estive, nemmeno l’ultima quest’anno
ché possa almeno fregiarmi del titolo di punto sulla stagione
definitivo e fitto nella pelle come uno
dei tuoi molti tatuaggi, invece che una virgola un respiro appena
fra la parola vado e la parola addio.
Dirai che, probabilmente, di promesse me ne hai fatte
come sempre ma ben altre
ma capisco che in amore vince spesso
chi meglio gioca le sue carte e non c’è posto per le scuse.
Ora dire che a fidarmi non sono stato buono
mai completamente, mai abbastanza
e scoprire, grazie a te, che non sbagliavo
non mi rende più felice ma soltanto un po’ più vecchio
e non aiuta.