mercoledì 28 marzo 2012

forme brevi

“In questa predilezione per le forme brevi non faccio che seguire la vera vocazione della letteratura italiana, povera di romanzieri ma sempre ricca di poeti, i quali anche quando scrivono in prosa danno il meglio di sé in testi in cui il massimo di invenzione e di pensiero è contenuto in poche pagine, come quel libro senza uguali in altre letterature che è le Operette morali di Leopardi.”

Calvino, Lezioni Americane, pag. 50

giovedì 22 marzo 2012

e' binèri (per tonino guerra)

C’è stato un lungo periodo, alcuni anni fa, in cui agli amici proponevo “E se andassimo tutti quanti a Pennabilli?” un nome talmente buffo, improponibile, da suscitare il sorriso in chiunque. Mi ricordava un po’ il primo canto de Il Miele, stupendo poema di Tonino Guerra, in cui si parla di uno zio muratore che parte dal paese per andare in Cina a fare dei lavori alla muraglia cinese e che dalla Cina non torna più indietro. All’inizio mantiene i contatti attraverso le sue lettere piene di racconti meravigliosi di quel nuovo mondo, poi pian piano le lettere si fanno sempre più rade finché dello zio non si sa più niente, sparisce del tutto, dissolto nelle acque delle fantasie stimolate dei suoi nipoti. Ecco, io la vedevo così Pennabilli, come una sorta di Cina in cui Tonino Guerra era andato a rifugiarsi e noi, un po’ come novelli Marco Polo, ci dirigevamo lì alla ricerca dell’imperatore.
Alla fine a Pennabilli, com’è ovvio, non ci siamo andati, eppure Tonino Guerra lì ci stava per davvero. Forse non volevamo rovinare il sogno oppure alla fine ci è mancata soltanto la voglia. Poi anni dopo, quando passò lui di qua in un lungo giro promozionale di un suo libro con Bompiani lo incontrammo per davvero, ascoltammo le sue parole ma di illuminazione in verità non ce ne fu nessuna. Probabilmente eravamo cambiati noi o forse il fatto che alla fine fosse stato lo zio a tornare da noi dalla Cina e non viceversa aveva un po’ sminuito la cosa, le aveva tolto il suo alone magico.
Fatto sta che, comunque, la via ce l’aveva indicata e oramai ce ne andavamo già da un pezzo sulle nostre gambe sulle strade più o meno immaginarie del mondo. Quante poesie ho scritto con l’ombra di Tonino Guerra che gentilmente mi guardava le spalle, quante hanno in sé l’inconfondibile spezia che ho attinto alla sua pianta. Per me, per quel che mi riguarda lui sta seduto nel Pantheon accanto a Montale, Ungaretti e Sereni, l’unico fra loro che riesca a riportare la vita alla vita e la carne alla carne, con semplicità e ironia, talmente vicino alla verità da scordarsi talvolta la bellezza in qualche bar fumoso della vecchia provincia.


Qualcuno, proprio per questo, lo ha definito un neorealista ma ho sempre pensato che la grandezza di Guerra, ciò che rendeva così unica la sua poesia non fosse tanto la sua attenzione al reale, alla sua concretezza, quanto invece la leggerezza e allo stesso tempo la profondità del suo sguardo, che andava più all’essenza delle cose che alla loro forma. Qui da noi, di persone che hanno uno sguardo simile al suo si dice che sono “un po’ filosofi” (ovviamente in dialetto che dà al tutto, sempre, un altro colore). Ma in genere quello sguardo nasce non tanto da chi ama la vita e basta, perché non ci vuole niente a dire, come ho letto, “Tonino Guerra, il poeta che amava la vita”, quasi fosse uno zio simpatico e un po’ strambo; nasce da chi ama la vita perché ha conosciuto bene la morte.
Tonino Guerra ha più volte ricordato che cominciò a comporre poesie quand’era prigioniero nei campi di concentramento nazisti, e questo non va mai dimenticato. Le poesie gli sgorgarono dal cuore in quel suo romagnolo di Sant’Arcangelo non per sperimentazione letteraria o aderenza al neorealismo ma perché lui potesse ancora sentire sulla lingua il sapore della sua terra nelle ore più buie della sua vita, in preda all’ansia e alla paura. Il suo ritorno a casa, allora, fu di certo il più difficile di tutti.
Ricordo ancora il mio primo incontro con lui, attraverso Mimmo, un amico a cui devo (mi accorgo ora) molte delle scoperte più importanti della mia formazione letteraria. Ogni tanto se ne arrivava da noi che scrivevamo poesie con qualche suo libro vissuto, e senza quasi dirci chi fosse l’autore cominciava a leggere con quel sorriso complice di chi ha scoperto qualcosa di davvero eccezionale e vuole condividerlo con te che sei suo amico. Quella sera in particolare ci lesse E’ binèri (dalla raccolta I bu), ovviamente in un dialetto incomprensibile per un pugliese e che poi ho tradotto in italiano per farla completamente mia, perché la sentivo così vicina a me da non poterne fare a meno. Questo è il mio Guerra:

................................E’ BINÈRI

................................Stavólta l’è cla vólta ch’a m’amàz.
................................Furtéuna ta me dè la sierpa ad lèna
................................da mètmi tònda e’ còl próima ad scapè
................................ch’l’è una matóina si du binèri giaz.



................................I BINARI

................................Questa è quella volta che mi ammazzo.
................................Fortuna che m’hai dato la sciarpa di lana
................................da mettermi attorno al collo prima d’uscire
................................ch’è una mattina sui due binari di ghiaccio.



E trovo che morte migliore per lui, creatura autunnale pur in tanta leggerezza, non potesse esserci. Sembra quasi una delle avventure del suo zio perso in Cina: morire il primo giorno di primavera di un anno bisestile in cui la primavera effettiva è arrivata il giorno prima.

(Le opere qui riprodotte sono di Tonino Guerra).

lunedì 19 marzo 2012

ma se tu sei a bari tutto il giorno...

Ma se tu sei a Bari tutto il giorno e io
pendolare di ritorno
non posso che seguirti
non potrò che amarti su di un lungomare al sole
cercare inutilmente il tuo odore salmastro
il movimento verdastro dell’onda
irrequieta sfuggente
le carezze trattenute dal filato delle calze
dalla finta indifferenza con cui dici
ho dei piani ben precisi per noi due
sul treno della sera
ti chiedo è la promessa
di felicità senza censura?

mercoledì 14 marzo 2012

la poesia ci seppellirà

La poesia non è morta resiste
io dico avvinghiata
ferocemente al quotidiano
pane necessario
in gesti piccoli significanti
ispirazione espirazione
traspirazione poi galleggiare
come stronzi nel mare dell’Ilva.

lunedì 12 marzo 2012

l'ultimo contatto il più vero...

L’ultimo contatto il più vero
con mio nonno il giorno
per terrore dal letto di cadere
che m’ha afferrato stretto un dito
e nel suo corpo fragile già
vuoto carcame consunto
per meglio essere leggero manovrabile
inutilmente pronto al volo
prima di riappisolarsi dunque ricadere
in un silenzio rantolato
mi ha detto “stai male” (anche tu! anche tu!)
mentre la pelle mi s’arrizzava
in tutta quella luce azzurrina
e senza uscita.

giovedì 8 marzo 2012

6 poesie di francesca genti

In realtà è solo un caso che abbia scelto di pubblicare queste poesie, che mi giravano intorno già da un po’, l’8 marzo, festa della nonna. Eppure credo anche nelle coincidenze che portano fortuna, persino al post di un piccolo blog come questo. Le poesie vengono da una raccolta chiamata “Poesie d’amore per ragazze kamikaze” del 2008 e hanno tutte dentro il sapore della primavera.
L’altra sera la mia amica Licia, quando le ho fatto leggere l’ultima qui sotto mi dice “Non è male ma che senso c’è se ti dici da sola che sei figa? Dovrebbero dirtelo gli altri, avrebbe un altro effetto!” Mi è venuto da sorridere perché proprio Licia era quella che mi diceva, una volta, per tirarmi su, “Lillo, ricordati che siamo troppo fighi per finire male!” una frasettina che mi sono sempre portato nel cuore nei momenti neri. Ecco, io credo che la vita in buona parte è una merda, e che spesso fai prima a pensar male perché tanto va sempre così. Però ogni tanto ci vuole, ogni tanto ha ragione la vecchia Licia “Siamo troppo fighi per finire male!” piuttosto che quella un po’ più stanca di oggi “Che senso ha dirselo da soli?” Beh, ogni tanto bisogna dirselo invece, perché fa bene all’umore e in culo alla balena. Non siamo mica panda!


SE GLI INSETTI SI RIBELLANO ALLE PIANTE

e le piante si ribellano alle case
poi le case si ribellano alle stanze
e le stanze si ribellano a mia madre.

e se mischio il sole e il tuorlo d’uovo
e il pompelmo e li bevo alla mattina
cresco bella come una mimosa
gialla e grandissima come la Cina.

poi se imparo davvero a riordinare
dati e abiti negli armadi e nel cervello
penso nulla mi potrà mai più frenare
a capire cosa è vita e cosa è bello.

allora l’amore crescerà da solo
come un timido geco ipocondriaco
o un diamante talmente plateale
da sconfiggere persino lo zodiaco.


MILANO DI NOTTE

vorrei essere la slava del metrò
che combatte gli albanesi attaccabrighe.
la ragazza kamikaze poesia
che ti uccide e si sfracella in quattro righe.


CIAO, NON SONO UN PANDA

non vivo allo zoo dentro una gabbia
non ho bisogno della tua protezione
non voglio che mi nutri coi germogli
che mi consideri una specie da salvare.

preferisco che mi baci e che mi spogli
pattinare con te per la via lattea
pitturare color luna le pareti
delle stanze del mio bunker personale:

questo è quello che vogliamo noi poeti.


È STATO BELLISSIMO NON BACIARTI

in fondo alla panchina desolata.
con il viale in prospettiva sullo sfondo.

con te io mi isolo dal mondo.

abbiamo inventato un’assurda giornata:
malinconica implosiva musicale
enigmatica sommessa smisurata.

sento il dolore al plesso solare
sento la testa piena ma svuotata.
esattamente come in terza elementare
la prima volta che mi sono innamorata.


STAI PARLANDO CON UNA

che oggi ha modellato cento funghi con il das.

che ha passato un pomeriggio a scrivere una poesia con la pastina al farro
su una tela dipinta di azzurro chiaro.

che una volta era così felice di avere passato indenne un capodanno
che si è messa a ballare per la stanza
è scivolata e si è rotta un piede
e la sua felicità – anche al pronto soccorso – non è scemata minimamente.

che tiene una lavagna sotto il letto
dove scrive tutte le bugie che dice
a chi le dice e la data
e ogni mattina si ripassa lo schema generale.

che cerca di salvare i cuccioli di scarafaggio.

che mantiene sempre il patto narrativo
e così non può guardare i film dell’orrore
e neanche andare al lunapark nel castello della paura.

che si è colorata un paio di paperine con lo spray argento
poi le ha indossate ed è uscita
e la sera a casa aveva i piedi completamente luccicanti
due stelle brillanti nella via lattea
e la notte non ha dormito
per paura di morire intossicata dalla vernice.

che (molto tempo fa) ha ucciso alcuni pulcini stringendoli troppo forte
e ha fatto saltare la dentiera a sua nonna materna
con un “bacio con rincorsa”.

che se le racconti qualcosa di vagamente ripugnante
o se sente un odore troppo forte
è capace di vomitare all’istante.

che – grappa&vinci grappa&vinci grappa&vinci –
da sempre le piace ubriacarsi
e farsi invitare a cena
da chiunque
ad ogni latitudine
in qualsiasi tipo di ristorante.

che la cosa di cui ha più bisogno
è l’abbraccio
la comprensione
il “sì” del mondo.

quindi, perfavore:
sciacquati la bocca prima di parlare.
e fammi volare. se ci riesci.

martedì 6 marzo 2012

problema

Ecco un popolo e un paese non sempre coincidono
e tu non puoi dividere il tuo odio. Ti chiedo:

per salvare il paese devi distruggere il popolo?

domenica 4 marzo 2012