giovedì 30 gennaio 2014

testimoni

Ama una donna. Anzi no, meglio, ama due donne. Sono amiche. Si assomigliano anche, tanto che a volte, per errore, ne confonde il nome, oppure lo fonde in uno solo, nuovo. Può farlo, perché anche nel nome si assomigliano. Per una, sinuosa e sfuggente quanto un’anguilla, ha scritto decine di poesie fra le più belle, ha scritto della sua pienezza e della sua mancanza, soprattutto della mancanza. Con l’altra, infallibile segugio, si avventura in lunghe passeggiate per i boschi, alla ricerca di fiumi e corsi d’acqua che permettano il passaggio dell’anguilla. Aspettandola, hanno fatto l’amore a lungo. Un giorno l’ha baciata davanti a una chiesa imbiancata, l’aria intorno era tutta sospesa e cani e gatti randagi stavano seduti ai loro piedi come testimoni. Sembrava quasi un matrimonio sospeso, anch’esso.

martedì 28 gennaio 2014

così

Nel freddo più freddo di gennaio
il cielo si è schiarito con un lampo
dopo giorni che m’intasava il cuore.
Siamo qui da soli alla fermata
che ridice ormai per sempre perduta
la tua corsa e se t’ho amata io
non abbastanza e non t’importa
non rovinare tutto ancora adesso.
Si condensano di fronte nella luce
trapassata da un neon le finestre
opache di vapore delle otto dove
un altro giorno muore in cucina
nell’orrore famigliare che ci siamo
per fortuna risparmiati. Così.

sabato 25 gennaio 2014

non ti piaceva la poesia giapponese...

Non ti piaceva la poesia giapponese
l’utopia di esprimere
il tuo lasciarmi
senza mai dire “lasciarsi”
con tutto il pudore che hanno le parole
di spiegarsi più
della forma nel suono
come le pietre quando le sfreghi
ne nascono scintille.

Non ti piaceva la poesia giapponese
né altro di me che non so dire
l’estate macchiata di neve
la tua memoria persa in mare.

Non ti piaceva la forza di tanta verità
concentrata in un fiore
la notte ci sovrasta
e preme sul fianco morbido il palato
l’addio bellissimo e studiato
che mai ti ho scritto
e mai ti ha interessato.

una favola sui gatti e sull'amore

Il secondo giorno di novembre, festa d’ognissanti, Giuseppe afferrò i due mici dal pelo grigio e lucido che da alcune settimane avevano scelto il suo giardino secco come casa, li infilò in un sacco e li portò via di lì, strappandoli a quel luogo.
Erano mesi che provava a cacciarli. Sono povero, diceva, sono quasi senza lavoro. Non posso mantenervi, diceva, non siete figli miei e poi mi costate troppo!
Loro lo fissavano da lontano, nascosti dietro i vasi dei gerani secchi, che come spugne di pietra fossile, bucherellati e leggeri, stavano sospesi in fondo al giardino. Rispondevano con gli occhietti insolenti: una casa non è dove ti mettono a stare, ma dove scegli di rimanere.
Lui era anche d’accordo, si impietosiva, passava loro un piattino con una parte del suo pranzo. Loro si avvicinavano circospetti e divoravano voracemente ogni cosa, perché quando si è piccoli la fame è tanta. Ma a volte il piatto era così misero che sbuffavano tutti e tre dispiaciuti.
I due mici mangiavano con gusto, e avevano gli occhi puntati dovunque, perché non si fidavano di nessuno e quando provavi ad avvicinarti sfrecciavano via dietro i vasi.
Però si stavano affezionando gli uni all’altro. I due nei loro giochi si avvicinavano sempre più alla casa, e talvolta Giuseppe se li ritrovava dietro la finestra, che lo fissavano incuriositi o allungavano una zampina in alto, lungo il vetro. Altre volte, quando lo pagavano qualcosa di più, per festeggiare comprava loro un pugno di croccantini, di cui si leccavano da terra perfino le briciole.
Poi si pentiva della spesa. Non va bene, diceva Giuseppe per convincersi, non va niente bene.
Andò avanti così fin dal primo giorno per quasi tre mesi. Fino a quando cioè – il giorno della festa dei morti – si erano lasciati accarezzare a lungo e con piacere sulla schiena, mentre leccavano il fondo del piatto. Gli avevano accordato la loro totale fiducia.
Giuseppe dormì male quella notte. I pensieri si arrovellavano dentro di lui. Già da un pezzo aveva maturato un suo piano di salvezza economica e, ora che le circostanze glielo permettevano, cominciava a mancargli la volontà, gli tremavano le gambe all’idea. Comportati da uomo! si diceva, chiuso nel suo letto, e poi si insultava a lungo per convincersi a prendere sonno.
Così il giorno dopo, due novembre festa d’ognissanti, con l’aria di chi non ha dormito affatto, Giuseppe, ormai intestarditosi nei suoi propositi, portò fuori un piatto delizioso, cucinato appositamente per loro e che lui invece non toccò, preferendo digiunare per quel giorno, che si godessero il loro ultimo pasto insieme.
Lo posò per terra e si mise alle loro spalle, approfittando della fiducia riposta in lui, per guardarli mangiare un’ultima volta e con la bocca girata in basso per la disapprovazione di sé. Poi, poco prima che finissero, si piegò su di loro e con due gesti rapidi, di cui quasi non si accorsero, li afferrò e li infilò nel grande sacco bianco e ruvido che teneva nascosto dietro la schiena, in cui si agitarono spaventati per un pezzo, ma senza quasi fiatare.
Quando furono sfiniti e il sacco si afflosciò fra le sue mani, lo infilò in auto e li portò molto lontano, che non riuscissero più a ritrovare la via di casa. Prese anche con sé, stretti in un tovagliolo di carta, dei croccantini di quelli che piacevano tanto a loro. Per tutto il tempo fece finta di non sentire il loro pianto sommesso dal cofano dell’auto, un pianto che gli straziava il cuore.
Li portò lontano, in campagna, da una sua amica che se ne stava sempre sola. Aveva una gran massa di capelli arruffati e l’aria stralunata delle streghe nei vecchi libri di favole, ma era una persona di buon cuore che amava gli animali.
Staranno bene qui, gli disse lei, c’è molto spazio per giocare, li farò mangiare tutti i giorni. Lui provò ad allungarle il fazzolettino dei biscotti, ma lei li rifiutò. Non le leggi mai le favole?, gli disse, non si danno i biscotti ai piccoli abbandonati, hanno il magico potere di riportarli a casa. Darò loro i miei biscotti invece, così si abitueranno al mio odore.
Poi Giuseppe tornò a casa da solo. E per tutto il resto del giorno li cercò dietro i vasi di gerani, e ogni volta che non ce li trovava, cercava di soffocare il rimorso che gli covava in pancia, o quella che si ostinava a chiamare fame, piluccando i loro croccantini.

venerdì 24 gennaio 2014

l'amore dei gatti

L’amore dei gatti è stupro
è rapina senza più gentilezza dei vent’anni
senza poesia
prendi ciò che serve a soddisfare
il male che ti stringe nei coglioni
che sa di piscio dolce nell’erba
ama come puoi alla bisogna
con cieca rapidità di chirurgo
poi scappa dove meno ti ritrovino
al riparo nel muro
ancora solo ancora disperato
con la paura che anche questa
sia una lenta fine
l’amore dei gatti vorrei
le gambe rivoltate in attesa del passato
che ci salvi la parola
il naso levato a fiutare
la stagione dei santi accoppiamenti
in un’aria tutta piena di sospetto
di carezze e di paura.

mercoledì 22 gennaio 2014

il ponte

Tutto ciò che resta a Pippo di suo padre è un puzzle del ponte di Londra, ricordo di un viaggio che fecero insieme quando Pippo era piccolino. Suo padre insegnava inglese. Pippo invece, da quando lui se n’è andato giù per un altro ponte, si è fatto taciturno. Non per tristezza, ma perché pensa che non c’è più niente da dire. La vita è come un puzzle, pensa Pippo quando guarda il ponte, dove tutto è perfetto solo se i pezzi si incastrano fra di loro, se non ne manca nessuno. Da quando suo padre è morto in casa non si è capito più nulla, eppure il padre di Pippo è stato previdente. Gli ha regalato un puzzle fosforescente. Pippo lo tiene appeso in camera, proprio sopra il suo letto, e quando viene buio il ponte si illumina.

scusate il disturbo

Quando leggo i post di scrittori veri come Mario Desiati o Luca Bianchini (che piace tanto a mia zia) o Guido Catalano o certe volte anche di mostri come Aldo Nove, mi rendo conto che io non sono e non sarò mai come loro. Non me ne frega nulla di andare a fare le presentazioni in giro per l'Italia, di leggere i miei versi ai reading, di stare sui giornali o di vendere un racconto per farci un film. Cioè se capitasse non ci sputerei sopra, ma perché capiti bisognerebbe che facessi tutta una serie di cose che non mi ingolla di fare, anzi ne sono quasi spaventato. Solo il pensiero di tutto quel movimento mi atterrisce. Come dice un mio amico, la verità è che sono un cazzaro. Tutto ciò che mi importa davvero e starmene seduto al mio pc e grattare sui tasti, scrivere e che qualcuno legga ciò che scrivo, quello sì. Il che ammetto è molto romantico e bello e giusto e blablabla, ma da un punto di vista strettamente editoriale è un totale fallimento. Uno scrittore non è questo, lo so io come lo sanno loro. Essere scrittori oggi ha più a che fare con le strette di mano, i bei sorrisi, i gruppi di lettura che ti fanno domande imbarazzanti, Fabio Fazio o le rubriche intelligenti sugli inserti settimanali dei quotidiani nazionali. Io mi sentirei male se dovessi stringere la mano a Fabio Fazio, che magari mi fa una domanda del cazzo tipo "Ma perché oggi la gente non legge più poesia in Italia?" "Che domanda mi fai, Fazio? Io la poesia la leggo, che ne so perché non la leggono gli altri? Chiedilo a Saviano, magari ti legge una poesia della Szymborska così Adelphi è contento". Tuttavia pubblicare un libro non è così bello come leggersi il libro di un altro. Insomma, sto maturando l'idea di smetterla. Pubblicarne un altro solo, quello per mio nonno e poi fregarmene e starmene qui a scrivere versi grattando sui tasti. Ho il mio pubblico affezionato in fondo. Poi ovviamente la mia è tutta invidia e blablabla, è per questo che ho scritto tutta 'sta roba. Me le portavo in gola già da un po'.

martedì 21 gennaio 2014

complicazioni

In treno incontra un uomo, le sta seduto accanto, le sembra un uomo mite. Ci scambia due parole di convenienza per far passare il tempo. Lui dice di preferire viaggiare da solo, di amare il silenzio quando si muove per nuove città, di odiare le complicazioni nate da chiacchiere inutili con vecchi e nuovi amici. E comunque, aggiunge quasi per scusarsi, sua moglie lo ha lasciato da poco e questo ha cambiato un po’ tutto. Lei nemmeno gli risponde. Non le piace più la sua voce bassa. Pensa che uno fa così quando non sta bene con se stesso, e che viaggia da solo, forse, per costringersi ad ascoltarsi. Le viene quasi dispiacere per lui, anche se non può farci nulla. In stazione lo saluta con un cenno della mano, lieve ma educato. Lui le risponde attraverso il vetro appannato.

lunedì 20 gennaio 2014

l'estinzione delle anguille

La vita è cosa assurda la vita è senza scampo se
legato all’albero maestro
ti ho persa dietro un paravento
da cantiere. Io lo credevo – sciocco –
cielo profondissimo e notturno
invece camuffava impalcature
il tuo cuore anch’esso di ferraglia
sublime e sordo pure qui
che avanza la tempesta
che il vento scuote nelle ossa il telo azzurro e pare
un mare che si gonfia esplode
un finto mare per anguille senza voce
senza affetto
senza più un biglietto nel diluvio
per persone sole ormai
vedove di marinai
neppure di poeti che ne cantino la morte a lungo
e controvoglia.

domenica 19 gennaio 2014

le distanze

Anche le persone vuote emanano luce, a volte splendida. Ed è la bellezza della vita, la condanna delle persone piene, attirate a colmare le distanze, a riempire le falle. Dovrebbero invece stare separate, le persone piene e le persone vuote. Le prime soffriranno sempre per le inevitabili incomprensioni, le seconde non capiranno mai perché si piange.

la rosa

È la rosa dei miei trentasette anni quella dai petali discreti appunto di un rosa delicato che scossa dalle piogge di gennaio si aggrappa alla sue spine e resiste. Imporporata di umori la sua luce risplende dolorosa e mite nell’oscurità che le si chiude intorno.

sabato 18 gennaio 2014

divorzio

Raramente mi è capitato di vivere un periodo confuso come questo, mi dice Livio poco dopo il suo divorzio, mentre sta già progettando di andare a vivere con Gianna, ma ancora non riesce a perdonare Maria per i suoi tradimenti. Un periodo in cui il mio cuore è allo stesso tempo stracolmo di gioia e stretto dalla sofferenza. Non lo credevo possibile, ma è vero: il cuore, e non la mente, è l’organo più complesso. La mente si interroga di continuo e per quanto si sforzi non capisce che succede, cosa gli è sfuggito per raggiungere la piena perfezione. Il cuore, invece, prende tutto come viene. In lui si agitano, l’uno affianco all’altro, i sentimenti più diversi, i simili e gli opposti. Per lui la perfezione consiste nella compresenza di tutta questa roba liquida, irrequieta. E chiama vita ciò che la mente definisce disordine.

poesia orfana di un nome

                        , io so
e ho perso di te ogni stima.
Come potrò guardarti
e ancora attribuirti
un nome per definirti amica?

                       , io so
e ormai al tuo posto non c’è
che uno spazio bianco
ingombrante e umido
terriccio per i vermi.

                       , io so
ma questo non consola dal dolore.
Neppure la più alta muraglia
vacante di un mattone
è senza breccia.

lettera da parigi

Lettera dal mio vuoto da Parigi dove nel ricordo vivi ancora
oltre come sei la mia portata una menzogna a ciel sereno
una biscia che s’agita nel fango e non più la fiera anguilla
penetratami nel cuore con la forma di un capello
a bermi nel sangue a battere nel mio battere
mentre cercava le parole giuste per stupirmi e ora
mi strozza in gola come un osso un fermaglio mal digerito
m’impedisce il pianto e mi ferisce avvelenando
la memoria col sale povero sale da cucina
dove un tempo si stendevano perfette pianure di ghiaccio
solitarie e tristi ma accecanti nel sole e non silenziose
avvilite com’è ora il mio cuore in un lavello
umiliato sotto il gettito d’acqua e lavato senza cura
ormai da mani esperte a estirpare il male del ricordo
conficcato nel profondo e rigido come uno spillo
un cadavere come un altro con un suo peso un suo volto.

mercoledì 15 gennaio 2014

nel bel mezzo del gelido inverno



Quello nella foto è il trullo che mio padre ha ereditato da mio nonno, insieme a una piccola vigna, alle Fogge di Barnaba (una piccola contrada di Martina Franca). Da anni, come si vede, è disabitato. La notte scorsa dei vandali ci sono saliti in cima e con dei martelli hanno staccato e rubato le sfere in pietra dei pinnacoli, probabilmente per rivenderseli. Mio padre ci è rimasto molto male, non solo per il furto, ma anche per i danni ai coni, come se già non bastasse l'IMU che puntualmente dovrà pagare sulla struttura. Sono i segni della crisi, gli ha detto un vicino, è la fame che ti fa fare queste cose. Mio padre gli ha risposto che, se avevano tanta fame, si potevano mettere a zappare la terra come faceva nonno, almeno costruivano qualcosa invece di distruggerla. Ma è questo, penso io, il segno dei tempi. Questo senso di rapina che ti spinge a rapinare a tua volta, a prendere tutto ciò che puoi finché puoi, prima della fine e senza alcun rispetto, anzi, con la segreta speranza che domani si stia tutti un poco peggio.

martedì 14 gennaio 2014

funerale

Sono stato a un funerale, il padre di un mio amico.
Mi è capitato, come non mi succedeva più da tempo, di sedermi accanto a un uomo piegato dal lavoro, un anziano letteralmente curvato sul bastone da anni di fatica nei campi, spezzato nella schiena. Ho spostato lo sguardo in avanti, sugli altri più giovani di lui e dritti come antenne, e ho capito che sempre meno se ne vedranno di persone piegate così, perché diverso è il lavoro ormai, e per fortuna, diverso è il sacrificio richiesto dalla terra.
E ho pensato che anche questo fa parte dei miei doveri di scrittore, raccontare a chi non vedrà quello che ho visto io, che una volta non c’erano solo i campi di sterminio nazisti, le guerre fredde e i trattati di pace, il terrorismo, la politica europea e la crisi economica, tutto quello che ci passano per Storia; ma anche, più semplicemente, gente così piccola la cui vita ruotava tutta intorno a una zappa in un campo di terra dura e pietrame, persa in una lotta senza scampo per dissodare il terreno e piantarci due fave, un filare di viti, fino a contorcersi la schiena e assomigliare essa stessa a un tralcio.

una poesia di daniela andreis

Abito nel pioppo,
mi piego al suo canto sommesso
appena da brezza di pianura è scosso,
fremo.
Questo è l'amore,
penso,
ma a volte è solo breve vento
al cospetto di un treno in movimento;
così aspetto di sfogliarmi
di diventare carta
di arrivare da te scritta, chiederti una terra
autunnale, vestita d'argento,
in una mano una bianca radice, nell'altra il nome della mia fermata.

(da La casa orfana, ed. Lietocolle)

lunedì 13 gennaio 2014

paolo & son

"Ma non lo so papà, i Pink Floyd sono belli, però boh..."
"Ti devi sentire Relics! L'hai sentito Relics?"
"Sì, è bello, ma se te lo devo dire preferisco Neil Young, è musica più semplice, minimale..."
"Neil Young minimale?? Ma dici così perché porta i capelli come uno zotico di campagna? Vedi che Neil Young fa della musica un sacco raffinata!"

(Chi è il vero son dei due non si è ancora capito).

domenica 12 gennaio 2014

guardando il telegiornale: due pensieri

1. Pensando a quanto successo in questi ultimi anni a L'Aquila, a ciò che succede in queste ore, a Cialente che lascia benché si dichiari sconfitto ma innocente di colpe di altri, a me viene in mente solo una frase del filosofo marxista Diego Fusaro, che mi sembra perfetta per questa e anche per altre simili situazioni (pure troppe):
"Nel momento in cui la sinistra smette di interessarsi a Marx, occorre smettere di interessarsi alla sinistra: il paradosso sta nel fatto che essa, che è il problema, continui ad autointerpretarsi come la soluzione."

2. Possibile che a me che sono ateo le uniche serie novità sotto il profilo civile e politico me le debba dare il papa?

mercoledì 8 gennaio 2014

poesia scritta nel bar

di fronte alla stazione in cui ti aspetto in ritardo.
Sarà passata ormai l’ora del tuo arrivo?
Non entro né chiedo una risposta.

Preferisco illudermi d’un binario vuoto
da riempirlo con quello che non dice
che affrontare il secco NO di un orologio
fermo per sempre sulle dieci.

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QUI un bell'articolo su temperamente.it, a cura di Iaia Liuzzi, sul mio secondo libro.
Che potete comprare scrivendo direttamente a me oppure QUI.

ma una storia può durare il tempo di...

Ma una storia può durare il tempo di
8 poesie? Una per ogni nostro bacio
e questa come suggello ad un abbraccio
lungo un mese per tutto il resto della vita.

martedì 7 gennaio 2014

hemingway

Così mangiò un’arancia.
Fuori
la neve si cambiava in pioggia.
Dentro era vita.

Tese la mano. Lontano
ancora più lontano
metri di neve
sull’altra faccia della terra.

Scandagli
e poesia.

E intanto giaceva
con un tubo per polmone
alla sua morte
nell’arena.

Marciarono tutti sotto la pioggia
fino al cimitero.

domenica 5 gennaio 2014

mi sto ammalando di te



Di Alessandro Canzian (QUI il suo blog).

la successione dei sentimenti...

La successione dei sentimenti
è pura convenzione
io non posso lunedì amare
e martedì disperare.
Un amore val nulla
se è così maldisposto.
Ti amo
ma oggi sono molto molto triste.
Pensami, biscia del cielo dentro il fuoco d’agosto.

(Roberto Roversi)