sabato 30 maggio 2015

la mecenate

Ho conosciuto una vera mecenate. Una che insomma si definisce una mecenate. Ha i soldi e in questo è già una mecenate, ed è talmente mecenatesca che usa questi soldi per favorire l’arte e soprattutto gli scrittori in cui crede, ed è a tal punto dedita alla sua missione che – per paura di sbagliare caratura artistica – dà una mano agli scrittori, ma solo se pubblicati da Mondadori. L’ho conosciuta, appunto, a una presentazione Mondadori. Mi hanno presentato come scrittore e lì per lì, confuso fra i pezzi grossi, in un impeto di entusiasmo mi ha passato il suo biglietto da visita. L’ho contattata il giorno dopo per presentarle il mio progetto editoriale e lei, forse presa dal dubbio, mi ha chiesto se avessi mai pubblicato con Mondadori. Al mio no ha risposto così: «Mi scusi, credo ci sia stato un errore, ha di certo sbagliato persona».

mercoledì 27 maggio 2015

ci sono volte che avrei voglia di dire...

Ci sono volte che avrei voglia di dire, a tutti quelli che adesso pontificano (e spesso senza sapere) che l'Editore deve essere prima di tutto un Imprenditore e bando alle ciance poetiche, ci sono volte che avrei voglia di dire che se l'Editore fosse per davvero un Imprenditore la prima cosa che farebbe da Imprenditore è non fare l'Editore. Glielo imporrebbero le indagini di mercato e anche un po' il pudore.

lingua e significati

Oggi ho imparato a dirlo in farsi: "Man dooset daram", e poi in norvegese: "Jeg elsker deg" dalla stessa persona che ha girato il mondo per sette anni senza documenti, o come si dice da noi, un clandestino.

lunedì 25 maggio 2015

sollecito

Le telefonate di sollecito degli autori che aspettano risposta per un libro certe volte sono più minacciose di una sequenza de L'ariamara. Oggi ne ho avute tre, una di seguito all'altra. "Antonio Lillo, ma mi stai prendendo in giro? No tu sono sei mesi che mi prendi in giro! E che vogliamo fare? L'ho capito che sei pieno di lavoro. Ma mo' che ho aspettanto sei mesi secondo te devo andare da un altro? No, tu mo' ti metti e lo leggi, e mi dici che dobbiamo fare. Guarda che se mi prendi in giro, poi lo facciamo insieme un lungo giro, ti porto dove dico io, e vediamo come torni." Così mi dice il terzo che mi ha chiamato oggi per mettermi fretta. Non lo sa che sono due anni che ricevo chiamate dagli autori. Lui mi parla e io mi immagino abbandonato su una piazzola di sosta sull'autostrada, insieme ai randagi in cerca di casa e alle puttane avvizzite dal sole.

la livella

Fra le tante fortune che mi dà l'avere quasi 40 anni c'è il fatto di aver assistito al fenomeno della riscoperta di Piero Ciampi che vent'anni fa, giuro, no lo sapeva quasi nessuno chi fosse (solo Zucchero che gli fregava i versi), e procurarsi la sua musica era difficile, molte cose non si trovavano proprio, mentre oggi, vedo con gioia, viene citato, linkato, rispettato come nemmeno in vita. Spero che presto succeda anche al povero Enzo Jannacci, molto più ignorato di ciò che sembra dalle celebrazioni ufficiali, tanto che buona parte della sua discografia (nonostate gli omaggi vari di Fazio) resta irrintracciabile, mai riversata in digitale. Eppure i tempi sono strani e la morte tende a livellare ogni cosa, come bene osservava Totò. Lucio Dalla, ad esempio, che quand'ero ragazzo non era più che una cosuccia commerciale, adesso è una sorta di bardo immortale del cuore. Mentre all'opposto, mi pare ci sia stato un ridimensionamento di Fabrizio De Andrè che in vita era intoccabile, il massimo genio possibile della canzone italiana, e ora il tempo lo rende un pochino più distante e anche un pochino più umano. Aspetto dunque di sapere che sarà dell'ottimo Battiato, che tutti amano, meno che io.

sollievo

Ierisera, prima di andare a dormire, ho saputo che il mio libro, Rivelazione, è tra i finalisti del prestigioso premio Carducci. Sono andato a dormire contento e mi sono svegliato un pochino più riposato. La vita è piena di problemi, ma la poesia è fonte di sollievo.

domenica 24 maggio 2015

ricordanza

Il 24 maggio 1915, esattamente un secolo fa, l’Italia entrava in guerra. Una guerra per certi versi edulcorata dalla nostra memoria storica, o soppiantata nelle cronache dalla successiva, forse perché meno facile da addomesticare all’etichetta “buoni contro cattivi” che ha invece caratterizzato l’altra. Restano i libri a raccontarla, in tutto il suo tremendo splendore e la sua insensatezza. Guerra tutta di chiaroscuri, di cialtronerie e bassezze infinite, di politica infame e sorda alle voci straziate di tanti giovani sacrificati alla gloria degli altri, voci che chiedevano quale colpa avessero da venir gettati così nel tritacarne. I meno ingenui, i borghesi partiti volontari, provavano a dare un senso al loro destino e dopo i primi schiaffi di realtà si ritrovavano invecchiati prematuramente e pronti a lasciare al mondo il loro testamento. «Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue» scrive dalle linee nemiche un giovane ingannato dal romanticismo della guerra (Erich Maria Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale). Ma non era il solo. Altre opere bellissime, con cui siamo cresciuti, scritte in quel conflitto sono state il romanzo senza lieto fine di un ausiliario americano che diserta per amore di un’infermiera (Addio alle armi di Ernest Hemingway), e il reportage senza sconti di un giornalista che irride l’inadeguatezza del nostro comando militare (Viva Caporetto! di Curzio Malaparte). Ma soprattutto dobbiamo ricordare un libro piccolo scritto sul campo di battaglia, come un diario che celebrasse in poesia ogni nuovo giorno di sopravvivenza: Il Porto sepolto di Giuseppe Ungaretti (diventato poi L’allegria). Pubblicato nel 1916 quel libro più di tutti perforò, proprio come fece la guerra con l’Europa ottocentesca, il petto gonfio della lirica ufficiale e reinventò il mondo a partire dal suo atomo, ovvero dalla semplice parola. 

PELLEGRINAGGIO

In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba

Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio

Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia

[Valloncello dell’Albero Isolato, 16 Agosto 1916]

pranzo in famiglia

Guardiamo insieme il tg poi commentiamo le ultime notizie. Un prete lo mette in culo ai ragazzini che fanno i chierichetti e poi scrive loro messaggini d'amante abbandonata, un altro ruba i soldi alla Caritas per aiuti agli immigrati: più di 100.000 euro destinati ai poveri del mondo, intanto che la Lega fa le marce per ricacciarli indietro questi negri che ci rubano il pane. Un terzo allontana un disabile dal tempio. Mio zio, italiano medio, sangue caldo, si schifa, si lamenta a voce chiara, dice blasfemie della Chiesa, il vero male. Poi fra sette giorni va alle urne e, in fondo al suo cuore, continua a votare DC.

sabato 23 maggio 2015

l'inettitudine del male

Prima mi è venuta un'infiammazione nervosa ai muscoli delle spalle, poi delle fitte agli occhi con relativi mal di testa, poi la gastrite, poi l'insonnia, un brufolo, poi l'ovosodo in gola che mi toglie il respiro e adesso, da alcuni giorni, mi sento le farfalle nello stomaco come se fossi innamorato. Ogni giorno si aggiunge qualche sintomo alla mia ansia di far quadrare i conti, ma i conti sono dispettosi, non quadrano mai. Faccio io la conta dei malanni e mi chiedo: saranno mica l'avvisaglia del primo infarto della mia vita? Io che mi aspettavo qualcosa di più esotico, invece così mi sento piuttosto uscito da un romanzo di Italo Svevo.

due poesie sui figli, dal bagno

Ingegnoso, mio figlio si chiude nella doccia
incolla un foglio al vetro, dall’esterno,
e per un’ora, immerso nel vapore,
impara a memoria Ugolino.

Scendono l’acqua e i versi, lui sussurra,
mi costa una fortuna, ma alla fine
esce lavato, profumato, pieno
zeppo di endecasillabi.

                      *

Mi lavo i denti in bagno.
Ho un bagno.
Ho i denti.
Ho una figlia che canta
di là dalla parete.
Ho una figlia che ha voglia di cantare
e canta.
Può bastare.

(Valerio Magrelli, Sangue amaro, Einaudi 2014)

venerdì 22 maggio 2015

esotico

La Szymborska, mi accorgo, sta prendendo il posto che un tempo era della Merini, di poetessa buona per tutte le stagioni. Questo mi fa paura, anche se rispetto alla Merini la Szymborska è (oggettivamente) più brava. Ci penso su, ma non ho ancora capito perché succede, se la Szymborska è talmente brava da superare la diffidenza dell'italiano medio verso la poesia, o l'italiano medio è talmente fazioso da essersi lasciato incantare dalla (goffa) lettura che ne ha fatto Saviano da Fazio. Mi fa paura che sia Fabio Fazio a determinare i gusti degli italiani in fatto di letture. E mi viene da chiedere perchè siamo così stronzi, provinciali e immaturi da non riuscire a premiare, nelle vendite, un poeta italiano per cosa scrive, e non solo perché è un matto simpatico o un bravo cabarettista o va da Fazio a presentare il suo libro. Va bene avere una visione aperta del mondo, ma la lingua poetica è unica e particolare, e con tanti bravi (ma bravi!) che ce ne sono nella nostra, perché corriamo sempre a premiare, piuttosto, i poeti stranieri, gli slavi, i sudamericani, gli asiatici, ma con l'aiuto di una buona traduzione? Spesso succede senza alcuna cognizione, ma con un trasporto verso tutto ciò che è esotico, come se andassimo cercando altrove la lucentezza che ci manca.

mercoledì 20 maggio 2015

colori

Devo dire che questa cosa del voto disgiunto mi dà parecchio fastidio. Fastidio perché ci sono costretto e fastidio perché devo anche provare a spiegarlo a persone come i miei, a mio zio, a mia nonna, ai vicini, che sono persone semplici e non riescono a capire perché tante complicazioni. Perché, mi chiedono, se uno vuole votare ROSSO, non può avere ROSSO ma solo tanto GRIGIO con sfumature rosate sui bordi che qualcuno si ostina a definire ROSSO? Quello è e resta GRIGIO! E la cosa più semplice che puoi fare per avere ROSSO, gli dico, è votare BLU e GIALLO che danno VERDE, che non è ROSSO ma il suo complementare, quindi ciò che gli sta più vicino. Perché, cari miei, qui si deve fare quel che si può con quel che si ha: cioè GIALLO + BLU = VERDE, oppure accontentarsi del GRIGIO. Tutto questo in nome del ROSSO. Vaglielo a spiegare tu ai miei, a mio zio, a mia nonna, ai vicini, che vogliono andare a votare ma vedono tutto NERO e non gli piace per nulla, né sanno come fare. E prova a digli che devono stare attenti, perché se mischiano male i colori quello che viene fuori è solo un gran MARRONE. Loro mi ascoltano attentamente e gli viene l’ansia di sbagliare.

martedì 19 maggio 2015

le mappe sonore

Sarebbe interessante, pensavo poco fa, tracciare delle mappe sonore dei luoghi in cui viviamo, cercare quei suoni che si ripetono uguali fino a diventare un punto fermo nelle nostre passeggiate, come degli indizi dei nostri percorsi emotivi. Nella mia di mappa c’è la risacca del traffico che sale da via Martina sul lungomare, quando lo percorro ogni pomeriggio partendo dal parcheggio di piazza mercato per finire davanti ai bagni pubblici di Peppe, dove s’infrange contro la sua risata grassa e il suo richiamo irresistibile: «Lilli!». E il suono spettrale della tastierina elettronica che sembra un carillon rotto all’inizio di via Guarnieri, con tutte le sue porte chiuse e i vetri rotti dopo l’abbandono. E ancora il canto allungato della cuccuvascia sulle cummerse vicine al campanile. E il chiacchiericcio basso dei birraioli sulla porta del Poldo e poi più giù, in piazza Marconi, dei muratori rumeni: lo stesso chiacchiericcio modulato in due lingue diverse. La voce dolce del cinese che chiama tutte le sere qualcuno dietro l’ufficio della posta. E il sax appassionato e testardo che prova, dalle sei alle nove, dietro un balcone di via Alberobello, appena dietro casa mia. E ancora il radiogiornale delle otto che parte dalle casse sospese in piazza Marconi, davanti al palazzo del Comune. La piazza è deserta, bianchissima come di ghiaccio, dove la radio gracchia notizie ormai inutili. Poco fa sono passato lì davanti e la radio raccontava di un vecchio ucciso in una rapina. Anche la fontana era ferma e l’acqua ristagnava gialla in tutto quel silenzio mortale, in cui nessun altro avrebbe mai saputo della fine di un uomo.

i saccenti

Ogni volta faccio l’errore di leggere i commenti agli articoli culturali su alcuni blog pseudogiornalistici, e mi capitano sempre le stesse espressioni, gli stessi incipit, da parte dei soliti saccenti. O l’incazzato e/o frustrato e/o incompreso e/o semplicemente arrogante pronto a dirti in faccia come stanno le cose, ma con stile: “Lei non ha capito un cazzo!” (il Lei è importante perché serve a tenere le distanze). O quello che, in disaccordo per principio ma non avendo ancora capito di che si sta parlando, o comincia a parlare di tutt'altro, oppure si attacca maieuticamente ai refusi di battitura per dimostrare l’indiscutibile ignoranza e/o ignominia di chi scrive, spesso un povero pubblicista e/o stagista sottopagato, ma qui un "ignorante" ci vuole, e di certo non può essere chi legge (in barba a Socrate), così attacca: “Ma si scrive coscenza o coscienza? Lei mi infila la i dove le pare e poi mi viene a parlare di etica! Si vergogni!” (Il pubblicista, più cinico che socratico, ovviamente se ne sbatte). Oppure il finto timido che prima farfuglia: “Io non sono nessuno, non so niente di niente, però una cosa la so e volevo dirla..." e poi te la dice, ed è veramente tanta roba per una persona che non sapeva nulla. Pensa te se di cose ne sapeva due che succedeva. Ecco, ogni tanto faccio questo errore di leggerli e tutte le volte mi chiedo chi sarà il peggiore dei suddetti, e in che direzione sta andando la razza umana. E davvero non so dirmelo.

brutta gente

Incontro questa signora che non vedo da un sacco di tempo, nota esponente della provincia bene, quella che sa sempre da che parte va il mondo. Parliamo un po'. S'informa di me, che combini? Le dico che adesso provo a far libri, meglio ancora poesia. Mi fissa un po' in silenzio. Dopo mi racconta del marito, dei figli che invece lavorano tanto, anche se l'edilizia è un po' in crisi. Ogni volta che il discorso cade sulla parola "lavoro", la vedo abbassare lo sguardo, quasi vergognarsi a pronunciarla, per paura di offendermi al confronto.

lunedì 18 maggio 2015

carnivori 2.0

Passare la serata sbucciando piselli. Regalo di un parente. Quattro chili. Quando troviamo un verme nel baccello mio padre esulta: se c'è il verme allora non c'è veleno! E il verme? Raccogli anche quello, che poi ce lo mangiamo.

l'ultimo atto di carlo formigoni - otto foto di scena









sabato 16 maggio 2015

sulla punta del naso

Ho sempre più la sensazione che la migliore poesia giovane italiana si aggiri, semiclandestina, su minuscoli blog di poeti che se le pubblicano da sé in rete, aspettando che qualcuno inciampi nei loro versi e, rompendosi una gamba, resti lì a far compagnia. Nemmeno sui blog letterari la trovi così buona. Anzi, spesso i blog letterari (con pochissime eccezioni) pubblicano pessima poesia giovane italiana, o meglio ottima poesia italiana ma defunta, a posteriori. O ancora ottima poesia straniera di autori poco conosciuti: hanno cioè la funzione di tenerci aggiornati su quanto accade nel mondo, ma con uno sguardo talmente vasto da non capire che gli succede sulla punta del naso.

venerdì 15 maggio 2015

la pasta

Certe volte, quando vedo che qualcuno pubblica le mie poesie senza citare il mio nome, mi viene voglia di presentarmi a casa sua all’ora di pranzo, entrare senza suonare, sedermi a tavola e mangiarmi il suo piatto di pasta senza ringraziare. Lui mi direbbe, incazzato: “Hei tu, quella è la mia pasta!” E io risponderei: “E quella è la mia poesia, che vale dieci piatti di pasta!”

una questione di stile

Ho appena finito di leggere Breve vita di Pasolini di Nico Naldini (Guanda), un libro lungo 130 pagine che costa 13 euro, in cui dati biografici si mischiano con aneddoti famigliari. Di per sé un libro carino che mette ordine alle molte vicende di una vita intensa, e poi scritto da Naldini il quale, in quanto cugino di Pasolini, aveva accesso a una serie di ricordi spesso intimi. Quello che lascia perplessi del volume è il finale. Non tanto perché Naldini si dice convinto che il delitto Pasolini sia stato un omicidio omosessuale di cui l'unico colpevole è Pelosi, e prova a dimostrarlo con qualche incertezza per spiegare una tale furia omicida da parte di un ragazzetto il quale prima si sarebbe spaventato per le avance di Pasolini e poi avrebbe infierito all'inverosimile sul corpo martoriato dello scrittore. Ma, fin qui, ognuno è libero di avere le sue idee. Mi rende perplesso, invece, l'ultimo capitolo, in cui Naldini rievoca quanto accadde in casa Pasolini alla notizia della morte. In un libro i cui capitoli sono lunghi in media 3 pagine, Naldini ne spende 16 per attaccare tutta una serie di persone che a suo dire si sarebbero "impossessate" di quella morte a proprio vantaggio, a cominciare dalla povera Laura Betti su cui Naldini ironizza più volte e pesantemente, dal valore delle sue capacità artistiche ai suoi problemi di peso, spinto da un'evidente antipatia nei suoi confronti. Cosa che, visto che si parla di una persona ormai scomparsa e dei cui sentimenti di affetto verso Pasolini lo stesso Naldini non dubita, avrei evitato. Almeno per una questione di stile.

mercoledì 13 maggio 2015

santi

Io vorrei tanto capire un fan di Enzo Jannacci a che santo deve votarsi per ritrovare l'intera discografia del suddetto Jannacci. Lui, lo so, mi risponderebbe: Sant'Antonio perché fa ritrovare gli ombrelli smarriti; oppure San Liprando che, nella famosa canzone, recitava in coda: io non ho visto niente.

sabato 9 maggio 2015

idea per una installazione dal titolo: cosa penso di voi

Tutto si svolge su una sorta di mappa del mondo in scala. Sul Nordafrica sono segnate delle tracce per il posizionamento dei piedi, in modo che chi si posiziona sopra dia le spalle all’Europa. Poiché la nostra è una installazione razzista le tracce sono indicate dalla targa: “questo è il posto dei negri”. Proprio per questo, nelle tracce devono posizionarsi categoricamente persone di colore, le quali non hanno la possibilità di spostarsi sul resto della mappa. I neri che scelgono di posizionarsi lì devono restare immobili per un certo periodo di tempo, senza bere né mangiare né sedersi. L’unica azione che è concessa loro è quella di piegarsi su se stessi fino a restare col culo sospeso sull’Europa, e svuotarsi delle feci. I neri possono svuotarsi anche più volte e sono loro a determinare la fine della performance. Se però il nero in posizione non si svuota, la performance non può concludersi. Il pubblico che sceglie di assistere alla performance viene chiuso nella stessa stanza col nero ed è costretto a restare lì, intorno a lui, fino al suo svuotamento. Quando il nero si svuota sull’Europa, tutto il pubblico deve categoricamente applaudire l’azione. Se qualcuno non applaude, allora verrà costretto dal personale della galleria a calpestare l’Europa, camminandoci sopra più volte fino a imbrattarsi le scarpe delle feci del nero. Il pubblico è anche caldamente invitato a fare dei selfie durante la performance e a metterli in rete, usando l’hastag: #cosapensodivoi.

il cane invisibile


venerdì 8 maggio 2015

chi non legge è...

Oggi con Domenico Maggipinto e alcuni altri scrittori abbiamo incontrato gli studenti delle scuole elementari di Alliste e Felline per parlare di libri. Fra gli altri, uno di noi scrittori ha detto questa cosa orribile ai bambini: "Chi non legge è un ignorante!"
Cosa che, sinceramente, avessi avuto 10 anni avrei smesso lì, seduta stante e per sempre, di leggere, solo per non dargliela vinta. Capisco che magari lo scrittore era mosso dalle migliori intenzioni pedagogiche, ma che brutto modo di avvicinare i bambini alla lettura!
Ecco, uno per tirarsela può anche inventarsi le più grosse fregnacce etiche a riguardo, ma chi legge, e chi legge lo sa, lo fa perché è divertente, perché farlo procura piacere fisico, proprio come si va in palestra perché produrre endorfine durante gli esercizi fa star bene. Non è che servano altre motivazioni.
Invece tutto questo divertimento, chissà perché, passa in secondo piano, o si perde a un certo punto nella crescita, anche per colpa di uno di questi prodi difensori delle lettere, pronto a darti dell’ignorante se snobbi il suo libro.

lunedì 4 maggio 2015

a una fessa (versione definitiva)

1. Merda

Ci sono donne leggere
talmente leggere che rasentano
il vuoto: pronta a prendere il volo
tu stai con loro.
In te sta il mio cuore annidato
disperato e pigolante implora a nutrimento
i vermi che gli avanzi come esche
o meglio ancora il guano che riversi
sulle teste dei tuoi amanti
(io sto con loro
allocchi o tordi ringalluzziti)
ogni volta che sul mondo ti sollevi
con grazia naturale. Lordi
di te della tua merda: loro
cantano le tue lodi al Signore.

2. Grazia

Grazia tua magnifica di donna
che preda di lussuria
ti fingi ragazzina nel piacere
e arrossisci sulle guance sculacciate.
Grazia tua leggera di passione
di passera o piccione che si bagna.
Grazia di giovane pollastra
generosa tutta cuore e rinomata.
Grazia d’esperta quaglia
o di fagiana imbellettata
apparecchiata sulla lingua e pronta
prim’ancora che tu dica
grazia di fringuella spalancata
da leccarsi baffi e dita.
Grazia di fava umida e salata.
Grazia di fregna che disseta e sfebbra.
Grazia celebrata sull’altare a pane e vino.
Grazia micidiale di zoccola vestita a festa.
Grazia indirizzata ad altro uccello
ad altra ciola che sorpassa in cielo.
Grazia surreale di tagliola. Potta.
Volgarmente di spaccazza fessa
di patonza grazia che ti strazia
nelle carni che ti stana nel tuo amore.
Grazia che ti rode che ti scava.
Grazia che ti chiava o non ti chiava.
Grazia più di sorca che di cuore
belva tutta nera di pelliccia
selva inferno: guaio senza uscita.
Grazia pisciatora e calamita.
Grazia tutta liscia e depilata. Pesca
e pesce fresco di giornata.
Grazia micia gonfia di burrata.
Grazia di gran porca e di giaguara.
Grazia che divora senza scampo.
Grazia dolcissima e infettiva
che smanetti senza guanto.
Grazia poi di prugna che si caca
e poi si perde nel rimpianto.
Grazia di grandissima baldracca mito
d’alata vacca o umanissima puttana.
Grazia ubriacante che fermenta
l’uva l’uva passa e la patata.
Grazia elementare ma tremenda
di fica rossa rosso sangue
fonte di peccato che consuma
ogni salvezza ogni perdono.
Grazia pavoncella mia di sgravo
e di tormento. Rotacismo. Inciampo.
Grilletto mio parlante e confidente.
Parolina tutta cosce
mette l’ali alla poesia.
Grazia ostia ragnatela e nebbia.
Bussola da naso. Quero sul mustazzo.
Grazia che congiura per averti
appena il tempo di venire e poi svanire
in tutta fretta. Mio sollazzo.
Grazia tua notturna di civetta. Strega
che se viene ruba tutto: il sonno gli anni
l’avvenire. La più non mia illibata
giovinezza. Fiore. Sprazzo.

domenica 3 maggio 2015

il problema

Se c'è una cosa veramente stronza che impari ai corsi di scrittura o più semplicemente nutrendoti di storie è che a un certo punto succede qualcosa, una qualsiasi cosa che ti cambia la vita, te la salva oppure no, ma se anche non ti salva capisci qualcosa di più su te stesso: è l'abc di chi racconta, il principio alla base di qualsiasi fiction: a un certo punto viene fuori un problema e quel problema innesta un vortice che cambierà tutto. Purtroppo nella vita vera non succede quasi mai, non importa che tu sia un gran cazzaro oppure no, non succede mai nulla di così avvincente che riesca a svoltarti la giornata, figuriamoci la vita, e se anche ti capita un nuovo problema è nuovo per dire, perfettamente uguale al problema di ieri: un altro preventivo da rifare, un nuovo progetto da scrivere ma che non verrà finanziato, la serie infinita di fatture, la rendicontazione economica da approvare, la mailing list da spedire, il cazzo di libro che ci hai sperato tanto ma non vende, il grande scrittore che fa i capricci e non sai come mollargli uno schiaffo senza che si metta a frignare.

venerdì 1 maggio 2015

estratto dal mio romanzo

Cosa fa, dunque, Saba nelle sue fughe in campagna?
Ci ho pensato a lungo, indeciso fino all’ultimo, ma proprio non me lo vedo invischiato in una tresca, o intento in chissà quali strani traffici, non l’ispettore Callaghan. Me lo immagino, invece, alla ricerca di un po’ d’inspirazione, magari ospite della casa vuota di un amico, seduto fuori in veranda, con davanti a sé l’orto che innaffierà più tardi, ben ordinato in lunghe file di pomodori, zucchine e fagiolini, gli alberi intorno di ciliegio, di pero e di fico, e un po’ di lato quello di limoni protetto da un muro di tufi. Me lo immagino seduto in veranda, in questa casa vuota e non sua, che scrive su una vecchia Olivetti ereditata da Cormac McCarthy, non le sue inimitabili memorie ma le sue storie immaginate, che si dispiegano in tutta la loro potenza di fuoco fra le foglie della lattuga ed i cocomeri.

[da Calda come i baci che ho perduto, romanzo che ho scritto per il premio La Giara, e ora in cerca di un Editore]

basta! basta!


Linko qui sotto, a cura di Paolo Vites, una (brutta) storia del Concerto del Primo Maggio che non conoscevo. La storia di come 10 anni fa Enzo Jannacci, ospite del concerto, venne fischiato dopo aver cantato 'Sei minuti all'alba', canzone sulla lotta partigiana, probabilmente ritenuta noiosa (si basava su una melodia tradizionale a cui non siamo più abituati). Ho visto i video, e nel pubblico c'erano tanti ragazzi che gridavano "Basta! Basta!" come se non ne potessero più. Molti indossavano la maglietta con la Falce&Martello, e mi sono venuti i brividi pensando che per molti di loro tutti quei simboli non significavano nulla, non dicevano nulla, non raccontavano la loro storia, se non come scusa per sfogare la propria rabbia o gli ormoni. Come rispose loro Jannacci, innervosito: "Sembra che per molti la vita sia un modo per morire, ma la vita non è una cosa, non è un viaggio sperimentale fatto involontariamente, e neanche una selva di piaceri, un orgasmo sparso".

Potete leggerla QUI.

assurdità

Una cosa veramente assurda sono questi ragazzi stranieri che ti chiamano dai call center per fare dei sondaggi in cui ti chiedono se lavori o no. Tu decidi di barare, rispondi sì (anche se, per quello che guadagni, puoi tranquillamente annoverarti fra i disoccupati, o meglio ancora fra gli arrangiati), e nonostante questo sai che la percentuale dei disoccupati in Italia, anche grazie a te, non verrà scalfita di una virgola. 
Viva il primo maggio, soprattutto per chi chiama dai call center.