sabato 21 maggio 2016

estratti da una intervista del 1982 a franco fortini:

«La poesia è quella cosa, quel discorso che finge di dirti una cosa, ma in realtà, oltre quella cosa, ti dà se stessa. È come se tu dovessi mangiare quello che sta nel recipiente e il recipiente. E alla fine il recipiente diventa più importante di quello che sta dentro, anzi la forma fa tutt’uno col contenuto. Il linguaggio della poesia è quel linguaggio che in ogni punto contraddice l’uso comune. […] 
Una volta mi hanno fatto notare che io, quando scrivo in prosa, scrivo difficile. Io penso che in poesia bisogna scrivere semplice, e in prosa difficile. In che senso? A far difficile il discorso della poesia ci pensa la poesia. Invece la prosa, siccome il lettore è abituato a capire tutto e subito, devi fabbricare una quantità di ostacoli per costringerlo (lui che leggerebbe senza pensare) a fare il salto degli ostacoli. In poesia possono bastare i cento metri piani: è già tanto, quando arrivi non hai più fiato. Invece la prosa deve presentare un percorso complicato, uno slalom, che faccia pensare. In poesia tu non devi tanto pensare, quanto “essere”. La poesia tende al presente. “Verso” deriva dal latino versus, che vuol dire “ritorno”, vertere cioè tornare. Il verso è quello che torna. “Prosa” invece, viene da prorsus, che vuol dire: “andare avanti”. La prosa va avanti, procede. La poesia sembra procedere, in realtà fa un movimento circolare, torna indietro su se stessa. 
[…] Ci sono dei poeti che, arrivati a una certa età, è come se fossero dei corazzieri, cioè fanno parte di un corpo speciale rappresentativo di una nazione (ogni nazione ha i propri) e così hanno qualche vantaggio. Ora uno deve essere molto attento perché se accetti di fare il corazziere, sei finito, vuol dire che veramente non fai più paura a nessuno, che nessuno ha più paura di quello che puoi dire. Grazie al cielo, c’è ancora qualcuno che mi vuole morto: vuol dire che sono io. 
[…] Aggiungi che non sai mai che cosa vali: fai delle fatiche spaventose, ti impegni in tutta la vita in cose, che non sai quanto valgono. Se uno scrive un romanzo e ne vende centomila copie, guadagna un sacco di soldi, poi viene intervistato dalla televisione, magari baciato dalle attrici: sarà quanto meno come un cantante famoso. Ma se non hai questo, che fai? Il puro gratuito. Fai delle cose che non hanno valore economico. Scommetti su un valore più alto. È molto pericoloso. Tu sei pagato, però, in un modo indiretto. Per esempio, ti fanno scrivere sul giornale, di letteratura, perché sei l'autore di quei versi. Hai degli effetti indiretti. Tutto sta a vedere dove uno pone il proprio onore.» 

Per leggere l'intera intervista vai QUI.

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