giovedì 30 giugno 2016

il gattino

Un piccolo tutt’ossa nero di sfortuna
mi si stringe alle calcagna
cercando in me il fratello: stipula
un patto famigliare
rifiutando di mangiare se io
sono lontano. È il patto
di un compagno per la vita
santificato nel latte del mattino
che strofina sul mio pollice grato
col musetto che gli sanguina d’amore.

chiudersi le orecchie

La verità che si nasconde dietro l’ostinazione con cui la nostra specie si aggrappa all’immaturità è molto più triste. Non ha a che fare con la riluttanza dell’uomo a guardare in faccia la morte, bensì con la sua propensione a chiudersi le orecchie per non sentire parlare della vita. Ma l’innocenza è l’ultima cosa che si possa prolungare naturaliter. Ecco perché i poeti – soprattutto quelli che sono durati a lungo – devono essere letti nella loro interezza, non attraverso brani scelti. L’inizio ha un senso solo in quanto c’è una fine. Perché i poeti, a differenza dei narratori, ci dicono tutta la storia: non soltanto in termini di esperienze che hanno vissuto e di sentimenti che hanno provato, bensì – ed è questo l’aspetto per noi più pertinente – in termini di linguaggio, attraverso le parole che essi decidono di scegliere. 

[Iosif Brodskij, Per compiacere un’ombra, trad. Gilberto Forti, in Fuga da Bisanzio, pag. 130, Adelphi 1986]

martedì 28 giugno 2016

morte di un poeta

Per qualche strano motivo l’espressione «morte di un poeta» suona sempre un po’ più concreta che non «vita di un poeta». Sarà perché «vita» e «poeta», come vocaboli, sono quasi sinonimi nella loro nobile indeterminatezza. Mentre «morte» – anche come vocabolo – è qualcosa di ben definito, quasi quanto è definito il prodotto stesso del poeta, cioè una poesia, che ha come elemento principale il suo ultimo verso. Un’opera d’arte, quale che sia la sua sostanza, è una corsa verso il traguardo, ed è il traguardo, l’epilogo, a deciderne la forma e a negarle la risurrezione. Dopo l’ultimo verso di una poesia non c’è più posto per nulla, se non la critica letteraria. Così, quando leggiamo un poeta, partecipiamo alla sua morte o alla morte delle sue opere. […] 
Un’opera d’arte vorrebbe sempre sopravvivere al suo autore. Si potrebbe dire, parafrasando il filosofo, che scrivere poesia è un modo, anch’esso, di esercitarsi a morire. Ma, a parte la pura necessità linguistica, ciò che spinge a scrivere non è tanto una preoccupazione per la caducità della propria carne quanto l’impulso a salvare certe cose del proprio mondo – della propria civiltà personale, della propria continuità non-semantica. L’arte non è un’esistenza migliore, ma è una esistenza alternativa; non è un tentativo di sfuggire alla realtà, ma il contrario, un tentativo di animarla. È uno spirito che cerca la carne ma trova parole. 

[Iosif Brodskij, Il figlio della civiltà, trad. Gilberto Forti, in Fuga da Bisanzio, pag. 71-72, Adelphi 1987]

domenica 26 giugno 2016

cugghijunère

Mia nonna definisce così Matteo Renzi quando lo vede in tv, e subito dopo aggiunge che è il ritratto sputato di quel lontano cugino che ha fatto i soldi in America, ma nessuno ha capito ancora come, perché quando leggevi le sue lettere a un certo punto ti perdevi e non sapevi più distinguere fra il vero e il falso delle sue chiacchiere di martinese.

le fave


cos’è la poesia

Ieri, mentre passo in piazza Vittorio, mi chiama Sandrino che si confonde con gli altri anziani posteggiati da sempre sulla porta del Circolo Caccia e stanno in fila sulle sedie come i palombi, a rimirarti di sguincio con l’occhio buono vispo e lento di chi studia tutto senza farsi accorgere, e si soffermano un pochino più a lungo sulle gambe nude delle donne, meravigliati. Mi chiama Sandrino, col viso bruciato da troppo sole, che ogni volta si compra il mio ultimo libro per solidarietà di compagno, poi lo legge agli altri perché imparino cos’è la poesia (nell’ordine: le donne, i compagni, le belle storie). Mi chiama Sandrino per stringermi la mano, e mi dice: «Bellissimo, il ceppo è sempre amaro, ma è bello. Cume cazze jè ca non sei ancora emerso? Nan se capisce».

venerdì 24 giugno 2016

rivoluzione

Oggi in libreria ho visto una offerta su alcuni titoli Feltrinelli: 2 titoli a 9,90 euro. La maggior parte dei titoli sono le solite porcate Feltrinelli (c'è tanto Baricco per dire, Stefano Benni, il solito Bukowski, la Agnello Hornby), però in mezzo alla paccottiglia ho trovato anche Sostiene Pereira di Tabucchi. E allora, visto che per 10 euro ti puoi prendere 2 libri, io vi dico: andate in libreria e compratevi due copie di Tabucchi. Una la tenete per voi e una la regalate a un vostro amico a cui tenete. E sul libro gli mettete questa dedica: te lo regalo perché ti voglio bene e spero che anche tu, poi, vorrai unirti a me nella mia rivoluzione contro il mondo.

mostra

L'altro giorno ho invitato Bogdan alla mostra collettiva che inauguriamo stasera alle 20.00 ai Laboratori urbani G.Lan di Locorotondo. Gli ho detto: "Vieni, che ci ho messo dentro anche un tuo ritratto!" 
Ieri Bogdan, o per curiosità o perché non aveva capito il giorno, si presenta ai Laboratori durante l'allestimento e dice (col suo inconfondibile accento): "Dov'è mostra di stronzo?" 
Poi comincia a curiosare fra le foto non ancora appese finché non lo trova. In questo scatto sta guardando il suo ritratto. Se passate stasera lo vedete anche voi.

giovedì 23 giugno 2016

il re nudo

Continuo a rileggermi l'ultimo libro della Lamarque il quale continua a non piacermi, a lasciarmi indifferente. Per amore di lei lo riprendo, lo sbircio e poi lo riabbandono, e non capisco tanti consensi e parole ammirate di scrittori, se sono io che non ci arrivo e non vedo la sua bellezza nascosta, o sono tutti loro a non voler ammettere che il re è nudo.

levrieri

Ne Il vecchio con un piede in Oriente, bellissimo libro minore di Tonino Guerra, fra le tante storie che non capisci se sono invenzioni oppure aneddoti, ce ne sono due vicine che mi catturano ogni volta e che hanno questa rara capacità di essere indipendenti, ma di acquistare sapore l’una dalla presenza dell’altra. Così nella prima storia si racconta di vecchi principi russi rifugiati nel Caucaso dopo la caduta dell’impero che vivono di ricordi e malinconia in attesa del ritorno dello zar, e nella seconda del ritrovamento in una stalla chiusa di alcuni strani animali abbandonati dal loro padrone e smagriti dagli stenti. All’apparenza sembrano levrieri, ma poi si scopre essere niente altro che maiali.

domenica 19 giugno 2016

serena di lecce su bestiario fiorito

Caro Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, all'inizio facevo orecchie alle pagine che mi piacevano, per ritrovarle. A un certo punto ho dovuto smettere perché, tra tutte quelle orecchie, il ricercare in sé sarebbe stato del tutto inutile. Ora il volume è per metà strapazzato, l'altra metà è stata goduta senza appuntare, in una specie di disarmo. Ho sentito di potermi abbandonare alla tua voce con fiducia. Ho fatto bene.
Finalmente un libro - ho pensato - e finalmente un libro di poesia. In un libro non senti il bisogno di decidere cosa salvare (e cosa, di contraltare, buttare nel secchio). In un libro non vai rimestando come sulla bancarella del mercato americano, cercando l'occasione che ti calzi a pennello. Il testo che parla di te, che ti piace, in cui rispecchi te stesso e la tua povera vita. Il libro non serve a confermarti. Il libro è altro da te, il libro è tosto, il libro ti grida in testa, il libro non lo puoi mica sfilacciare, se salti la pagina di un libro ti resterà sempre il dubbio di esserti perso un passaggio importante. Contro un libro ci si scontra, e dalla collisione si producono particelle, e quelle particelle si agglutinano in modo imprevedibile, e dal quel modo imprevedibile riusciamo tutti quanti mutati pure noi.
Nel tuo libro (ed è stato per me uno schiaffo benefico) ci ho trovato tanta di quella fede nella parola e nel verso che non ho provato la nostalgia di Novecento che solitamente mi assale quando leggo cose nuove. È stato un bel viaggio, di quelli che fanno tornare la voglia di crederci. Anche per questo ti ringrazio, di cuore.

larve

Stanotte ho fatto un sogno in b/n in cui un uomo con una maschera da rospo mi chiedeva di fargli un ritratto fotografico. Ci provavo, eppure mi teneva strette le mani e le portava con la forza vicinissime ai suoi occhi. Mi impediva così di mettere a fuoco l’immagine, che di volta in volta veniva di un bianco lattiginoso che riempiva lo schermo. Era il bianco immenso dei suoi occhi. A ogni scatto emergevano, dietro il bianco, come delle macchie sottili simili a larve di zanzara. Quando gliele ho fatte notare, mi ha risposto: «Quelli sono i versi di una poesia che ti frulla in testa da ieri». E poi ha aggiunto, in maniera ambigua e tenebrosa: «Stai attento agli hacker, ti stanno osservando. Vogliono rubarti ogni pensiero per poi ricattarti». Ma quando ho provato a chiedergli di più mi ha messo una mano sulla bocca, e mi impediva di parlare, dicendomi che eravamo già in pericolo. E più mi premeva sulla bocca, più le larve gli riempivano gli occhi coi miei pensieri impazziti.

venerdì 17 giugno 2016

panna

Ho fatto un sogno. Il mio amico Matteo stava dirigendo un corto sulla microcriminalità a Napoli. Al centro del sogno c'erano tre ladri che, a torso nudo, cercavano di portare via una 500 rossa piena zeppa di biciclette rubate da una piazza senza farsi sgamare dai carabinieri. Quando meno te lo aspettavi i tre partivano a ballare a cantare come in un musical, spruzzandosi addosso con la panna spray. Io gli dicevo: Matteo, ma non sarà un po' troppo gay come cosa, per parlare dei ladri di biciclette? E lui: tranquillo che questo è un tema che tira. L'importante è non approfondire, se no la gente si scoccia. Poi io li faccio cantare, così rendo tutto più leggero e politicamente corretto.

giovedì 16 giugno 2016

brevità

È difficile, una volta che si prende gusto alla brevità, tornare verso le lunghezze medie dei mortali. Il pubblico desidera perdersi nelle parole come in un prato sconfinato in cui annullarsi. Ma chi scrive contempla la perfezione del fiore che regge nella propria mano, e del prato intorno non sa più che farsene.

canto

Stamattina, ero in fila a uno sportello, una ragazza che conosco più o meno di vista, mi si avvicina per chiedermi una cosa, le rispondo, ci parlo alcuni minuti prima che arrivi il mio turno. Pare che mi trovi simpatico, infatti la faccio ridere. A un certo punto si lascia andare e mi dice: "Ma lo sai che sei una sorpresa? Pensa che non ti potevo vedere..." "Ma davvero? E perché?" "Perché quando cammini per strada canti. Sembra che non hai mai problemi, e questo mi dà fastidio."

domenica 12 giugno 2016

rospo

Sono giorni che mi sento come un nodo alla gola, una sorta di ovosodo che non va né in su né in giù e sta fermo lì, togliendomi il respiro. Mi chiedo cosa può essere, anche se sospetto fortemente sia un rospo che non riesco a sputare.

sabato 11 giugno 2016

edipo relitto

Ieri sera mi è successa questa cosa buffa. Stavo presentando il mio libro a Ostuni e a un certo punto Antonio Giampietro, l’altro scrittore con me sul palco, mi ha fatto una domanda su un testo che ho incluso nel mio libro, ma di cui non mi ricordavo assolutamente nulla. Succede, credo, quando hai poca memoria e scrivi in maniera bulimica. Poi, mentre Antonio mi ricordava il testo in questione, una vocina dentro di me ha detto: “Ma l’ho scritto io? Minchia come sono bravo!” E subito dopo, a punire tanta presunzione, è risuonata nella mia testa la voce di mia madre a ribadirmi: “U fasule s’avante da sule!” E mi sono sentito come Woody Allen in Edipo Relitto ma, per fortuna, con un cielo zeppo solo di rondoni.

venerdì 10 giugno 2016

confusione

Tu pensa come andavo confuso sui fondamentali, che mi hanno chiamato gli amici per giorni chiedendomi dove fosse l'incontro di stasera a Ostuni, e io continuavo a dire Piazza della Vittoria, ed era invece Piazza della Libertà, e ho capito solo oggi, controllando su Google Maps, che Libertà e Vittoria non stanno necessariamente nello stesso luogo.


sabato 4 giugno 2016

discussione col compagno peppe

«Io non sono come te, Lillo, io domani vado a votare. Vado a votare sapendo che non c’è più la Sinistra. Non ci sono più compagni. I compagni si sono tutti arresi. Enzo Cervellera poteva essere un buon sindaco, ma si è arreso. Peppe Stalin se n’è andato in campagna e si è arreso. Anche Amati si è arreso. Tonio Salamina ha alzato un polverone e si è arreso. Tutta gente preparata, che sapeva alzare la voce. Anche i Cinque Stelle alzano la voce, ma non mi piacciono, gridano le stesse cose che gridavamo noi in piazza nel ’68, quando andavamo contro i Democristiani. Dov’era Grillo nel ’68? Forse era in piazza anche lui a gridare contro i Democristiani, non lo so. Ma se c’era non ha imparato nulla, perché ripete ancora le stesse cose. Tu sei come mio figlio, sei anarchico, oppure ti sei arreso anche tu. Io sono diverso da voi e voto. Sai che cosa voto? Io voto contro i fascisti. Anche se a Sinistra ormai non ci sono più compagni e sono tutti Democristiani.»

ci penzavo

Oggi ne parlavo con una giovane autrice, e penzavo a come potevamo fare a vendere i libri di poesia senza rimetterci come casa editrice e senza chiedere il famoso contributo all'autore in un Paese dove non si legge manco per sbaglio e ormai si ragiona solo per immagini o voyeurismo, con tanta tanta nostalgia degli anni '80, quando Lino Banfi, come italiano medio, aveva tanta più dignità di quella che si vede oggi in giro. Così pensavo che poteva essere carino fare una collana apposta per invogliare alla lettura, con gli autori che si spogliano e la fanno vedere. Noi pubblichiamo il libro, e chi se lo compra riceve una serie di foto a luci rosse dell'autore/autrice formato polaroid (che fa tanto vintage per tirarsela). Secondo me, così, vendiamo pure tanto, e se gli autori non sono proprio bellissimi, possiamo mettere le controfigure. Penzavo al titolo più giusto per una collana del genere, e il primo che mi è venuto in mente è stata: I guardoni.

giovedì 2 giugno 2016

seduzione

C’è una donna, seduta alla toletta. Mi chiede di pettinarle i capelli. Indossa un kimono a fiori bianco e nero. Parliamo attraverso uno specchio, ma senza usare parole. Mi indica quando far piano, oppure se essere dolce o deciso, o se trattenermi più a lungo in un punto attraverso gli sguardi e i sospiri. Sto ben attento a cosa chiede, ne fisso il riflesso muto, ne seguo con gli occhi le espressioni cangianti, e le pettino i capelli lunghissimi fra le dita, con lentezza, leggerezza e dedizione; corrono morbidi sotto i denti del pettine, ed emanano un profumo dolce di tigli che sale e si spande man mano che li sciolgo dai nodi. Siamo qui da ore davanti alla toletta, immobili e mai sazi del contatto, delle mie lunghissime carezze. I suoi capelli continuano a filare fra le dita, a crescere e confondersi col suo kimono a fiori, avvolgersi alle gambe legandoci l’un l’altra. Invadono la stanza, corrono sul pavimento e sulle pareti, premono contro la porta per uscire.

chiamata

Ieri, ero in riunione, squilla il telefono. «Pronto?»
«È il più bello che hai scritto!»
«Ciao Paolo, come va?»
Un lapidario e deciso Paolo Castronuovo sul mio Bestiario Fiorito.

mercoledì 1 giugno 2016

paesaggio in attesa

Chissà come lo vede la ghiandaia da lassù e se si chiede anche lei che differenza passa fra l’antenna che la regge e il pero recchia falsa che c’era tre anni fa. Risponde, con intervallo di uno a tre richiami, a un altro uccello che non so, nascosto nella siepe, dal canto metallico e monotono che pare una sirena, ed ogni cinque dell’uccello-allarme ne attacca un altro più lontano, incerto e basso, quasi sonnolento a cui il gracchiare di una gazza contrappone ipnotico un ritmo più lento da fachiro, cui si accorda sulla grattugia il movimento del cacio polverizzato per la pasta. 
Tutto è, proverbialmente, perfetto. Persino il guscio secco della tartaruga in fondo all’orto di cui non si capisce cosa l’abbia uccisa, se la malattia o la fame per un lungo inverno senza freddo e senza mai letargo; oppure lo stupro ripetuto dei tre maschi che l’hanno violentata senza tregua, coi loro gemiti di gomma e le bocche spalancate nella morsa. Ora le ronzano intorno solo mosche, i maschi senza scopo non lottano nemmeno per istinto, ridotti come sono all’estinzione. 
Anche il gatto sonnecchia castrato all’ombra della magnolia ammalata. Aspetta sbadigliando le frattaglie offerte dal beccaio, né si dà pena della ghiandaia planata sulla sua testa a scacazzare mentre gli fa il verso per schernirlo. 
L’antenna affilata è pronta come un moschetto o un parafulmine, un ombrello bruciato, un crocefisso andato storto sul Golgota, a scaturire il lampo che spiccherà lo capo al mondo fra il vino e la scarpetta. 
Il tempo si guasta oltre la siepe. Balenano sul grigio, golose nel parcheggio, le automobili impilate in via Almirante: caramelle sacrificali offerte per placare l’ira degli dei invece del dolce. La quarta della fila ha il vetro abbassato. L’allarme dell’uccello nascosto non cede, trasmette incantato, in codice binario, il pericolo che incombe.

difetto

Ritorna l'annoso problema delle dimensioni. Un amico mi scrive che più vado e meno mi contengo nei libri. Il primo libro, con Lietocolle, era lungo 40 paginette, l'ultimo 200. Peggio perché fatto di poesia, e la poesia, si sa, va distillata. Non sono d'accordo. La poesia è il mezzo, non il fine. Io dico quel che devo e punto. Se mi servono 200 pagine per dirlo allora userò 200 pagine, se me ne servono 10, saranno 10. Poi certo, non sono un moderato in poesia – è il mio difetto, e andando peggiora – non sono continente, né mi interessa la bella misura, l’assaggino mignon fatto per gradire. Io sono per la vita e la vita, in versi come in prosa, è tanta, chiede spazio.