giovedì 13 ottobre 2016

la lotta per l'osso


Mi fanno un po’ ridere quelli che si scandalizzano per il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, e parlano di ingiustizia letteraria per il povero Philip Roth (che così povero secondo me non è). Sinceramente (ma lo dico come sfogo) se ci fosse una giustizia letteraria io, oggi, pubblicherei nella collana bianca di Einaudi. Così, per dirne una. E come me molti bravissimi scrittori che conosco. Invece Einaudi pubblica, da anni, molte più cagate in versi di quelle che ha composto Bob Dylan in 50 anni di canzonette. Ma non è solo Einaudi. Tante altre case editrici che si dicono libere pubblicano semplicemente (per far quadrare i conti, dicono) più merda di quanta se ne possa digerire, in cui fanno proliferare autori senza alcuno spessore, che pubblicano libri di cui nessuno ha bisogno non perché sono più bravi di altri, ma solo perché sono meglio intrallazzati, sempre al posto giusto al momento giusto, a dire la cosa giusta per essere simpatici. La letteratura è anche un lavoro relazionale, si sa. E così vanno in tv nei salotti giusti, fanno inchieste giornalistiche che non denunciano nulla, fanno satira insulsa, fanno politica ma si incazzano sempre senza arrivare mai a nulla, talvolta fanno utilissimi pompini, e cucinano e cantano e giocano a calcio, ma senza sfiorare mai (tranne rare eccezioni) la Letteratura, nemmeno per sbaglio. 
Eppure, in tutto questo sistema diabolico, che non è l’eccezione ma la norma, invece di incazzarsi per la merda nauseabonda che circola nelle nostre librerie, imbellettata da marchi prestigiosi, quello che rode di più è che Bob Dylan (anche se pubblicato da Feltrinelli) non fa letteratura, non fa musica e non fa nemmeno arte. E visto che non fa nemmeno pompini, non si sa come giustificare questo errore. Forse dovrebbe giocare a calcio. 
Parlando di errori, stamattina mi scriveva una mia amica sconsolata: “è morto Dario Fo, siamo più poveri”. E a me è venuto da pensare che sì, è vero, siamo poveri, ma Fo era anche anziano. Il problema, il problema vero, immenso, non è che si sente la sua assenza, ma che si sente l’assenza di un ricambio che non c'è stato, non perché manchino i talenti ma perché chi c’ha il Potere (come lo chiamava Fo) economico, editoriale, chi potrebbe dargli spazio, ampio, di azione e di pensiero, piuttosto che investire in quei giovani talenti, preferisce storcere il naso, guardare altrove, e non sempre al meglio o in buonafede. E ripetere a chi scalpita, come succede a me: “questo posto non va bene per te, col tuo talento forse dovresti andartene altrove”. Invertendo, di fatto, il celeberrimo: Questo non è un paese per vecchi, che Cormac McCarthy (anch’egli meritevole di Nobel) ha mutuato come titolo di un suo romanzo da una poesia di Yeats. (Sempre questa Poesia che torna fra le balle). E se qualcuno si lamenta del trattamento, al Potere piace ripetere che emergere, da sempre, è una lotta spietata. La lotta fra cani per l’osso.

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