giovedì 30 novembre 2017

tenera è la gnocca

Finalmente ho cinque minuti per parlare del mio sogno di stanotte, il quale stranamente (poiché chi mi conosce sa bene che non è mia abitudine sognarle) è infarcito di donne, con particolari assai scabrosi che sconfinano nel bondage e nella coprofagia più spinta. Insomma, me le sogno in diverse posizioni e infoiato da tutto quel ben di Dio di corpi sodi e pronti a offrirsi, mi sento a tal punto ispirato da mettermi al lavoro e scrivere seduta stante un nuovo libro, giustamente intitolato (missando opportunamente la donna e la notte): Tenera è la gnocca. Lo propongo, nel sogno, a Giovanni Turi, temendo che forse storcerà il naso, invece Giovanni col solito aplomb mi dice: Senti, il libro non è male, ma il titolo mi sembra di averlo già sentito. Io, da bravo saputello, gli rispondo: Lo so, fa il verso a Francis Scott. E lui di rimando: No, credo che l'abbia già scritta Francesco Dezio questa storia. Ti conviene confrontarti con lui.

martedì 28 novembre 2017

la fabbrica


“Al centro del volume dell’autrice pugliese Marta Vignola sta quella Taranto sospesa, sin dai primi del Novecento, tra “guerra e pace”: tra cantieri navali, arsenali della marina militare e, naturalmente, acciaierie. Quella Taranto, insomma, “sequestrata” per circa un secolo da quelli che potremmo chiamare i superiori interessi dello Stato: per l’appunto la difesa, la produzione di un materiale fondamentale tanto ai fini bellici quanto civili e, infine, l’imperativo dell’industrializzazione forzata delle aree sottosviluppate. 
[...] Vignola, insomma, scava in un secolo di investimenti, retoriche e conseguenti riscritture del territorio. La storia economica dei luoghi – sostanzialmente fatta dalla Marina Militare, dall’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) e, infine, dall’Ilva della famiglia Riva – diventa così anche la storia dei quartieri e del territorio tarantino. Un territorio di volta in volta espropriato (per fini militari e di sicurezza, oppure produttivi), “scosso” (al fine di ridisegnare le demografie dei quartieri) e “riconnesso” (secondo logiche imperscrutabili, utili forse alla produzione ma non certo alla vita). E, naturalmente, inquinato oltre misura, nelle acque, nei suoli e nell’aria. 
La fabbrica è così la storia soprattutto della “naturalizzazione” della polvere – quella dell’acciaieria, presenza “materna” in grado di occupare, negli anni della massima espansione, sino a 30.000 persone.” 

lunedì 27 novembre 2017

motivazionale

Ho un fratello motivazionale, quando gli dico che sto lavorando a un libro di racconti mi fa: “Sei sicuro che sono racconti? Menomale, avevi rotto le palle con tutte quelle poesie! Poi fidati, non le leggeva nessuno, ti dicevano tutti che erano belle solo per gentilezza. Vedrai che adesso qualche copia la vendi!”

domenica 26 novembre 2017

la nostra voce non si spezza

Andate a dirlo a tutti
al presidente all’impiegato
andate a dirlo al papa
e al magistrato andate
e dite al sindaco al suo capo
la nostra voce non si spezza
nemmeno respirando
l’aria spessa nemmeno
con l’acqua alle ginocchia
mentre ci gridate state zitti
silenzio fate i bravi
la nostra voce non si spezza
è un continuo ronzare
e vi dà noia ma è rumore
d’aeroplano in partenza la voce
del motore che sale.

sabato 25 novembre 2017

una poesia di alejandra pizarnik

Anillos de ceniza
a Cristina Campo

Son mis voces cantando
para que no canten ellos,
los amordazados grismente en el alba,
los vestidos de pájaro desolado en la lluvia.

Hay, en la espera,
un rumor a lila rompiéndose.
Y hay, cuando vien el día,
una partición del sol en pequeños soles negros.
Y cuando es de noche, siempre,
una tribu de palabras mutiladas
busca asilo en mi garganta,
para que non canten ellos,
los funestos, los dueños del silencio.

 
Anelli di cenere
a Cristina Campo 

Sono le mie voci che cantano
affinché non cantino loro,
gli imbavagliati grigi nell’alba,
i vestiti di un uccello devastato nella pioggia.

C’è, nell’attesa,
un rumore di lillà che si rompe.
E c’è, quando arriva il giorno,
una partizione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.

(traduzione di Florinda Fusco)

venerdì 24 novembre 2017

prima linea

Mi chiedono perché la Chiesa è ancora così forte. Io direi perché nelle storie di sofferenza e di dolore del mondo e di questo paese è più facile trovare la Caritas, la parrocchia, la chiesa schierata in prima linea coi deboli che non il nostro PD o anche lo Stato, se è per questo. 

Sergio Staino

iniquità

Devo smetterla di leggere certi libri prima di andare a dormire, poi mi vengono i brutti sogni e mi risveglio col sospetto che può succedere anche nella realtà. 

«Anch’io, ve l’ho detto, cederei volentieri il mio posto al signor Amar. Ma, vedete, questo paese non è ancora arrivato a disprezzare il partito del signor Amar quanto disprezza il mio. Nel nostro sistema, il crisma del potere è il disprezzo. Gli uomini del signor Amar stanno facendo di tutto per meritarlo: e lo avranno. E una volta che lo avranno sapranno come legittimarlo. Perché il sistema consente di arrivare al potere col disprezzo; ma è l’iniquità, l’esercizio dell’iniquità, che lo legittima. Noi, quelli del mio partito che ci avvicendiamo alle poltrone ministeriali, siamo blandamente iniqui: per costituzione e per contingenza, perché non sappiamo e non possiamo essere più iniqui; lo siamo sempre meno, anzi. E voi avete sete di iniquità. Non soltanto voi della polizia, dico». 

Leonardo Sciascia, Il contesto, Adelphi

mercoledì 22 novembre 2017

il ghetto

                               per Carlo Tosetti 

Il ghetto a proprio corollario
afferma questo:
che al suo interno sei
non un escluso ma
recluso e dunque
più sicuro dall’esterno benché
ci si confonda facilmente
sulla nostra posizione a seconda
del grado d’incertezza
all’uso della porta a definire
cos’è dentro cos’è fuori
da noi stessi.

domenica 19 novembre 2017

divagazioni intorno a stoner

Stamattina ho cominciato a leggere Stoner di John Williams a cui, confesso, dopo tutte le meraviglie che se ne sono scritte, mi sono avvicinato forse eccessivamente guardingo. Eppure, al secondo capitolo mi par scritto bene, ma con quel pizzico di inclinazione al sentimentalismo che boh, mi lascia insoddisfatto (magari poi cambia). Al contempo sto leggendo Tempo di viaggio, diario di Russia di Tonino Guerra, modernissimo per scrittura rapida e penetrante, capitoli brevi e pieni di ironia, tanto che mi vien da pensare che se fosse sui social oggi, Guerra spopolerebbe. L'altro che sto leggendo molto in questo periodo è Leonardo Sciascia: Todo modo, Il contesto, L'affaire Moro, che sono di una apertura, lucidità e di un coraggio straordinari, soprattutto se inquadrati negli anni in cui furono scritti. Sciascia aveva le palle. Ecco, fosse per me lo farei studiare nei licei: è molto più utile e incisivo che tanti manuali, con possibilità di approffondimenti interessanti sul potere, sull'etica e sulla fede. Proprio Guerra, fra l'altro, col regista Francesco Rosi hanno ricavato la sceneggiatura di un film, Cadaveri eccellenti, dal Contesto di Sciascia che in meno di due ore non solo condensa la situazione italiana degli anni di piombo, ma anticipa gli attentati mafiosi ai giudici che verranno di lì a poco. Pensavo questo stamattina, mentre leggevo Stoner, che si fa tanto decantare di romanzi che si scrivono all'estero come opere assolute (Stoner, Sylvia, ecc. libri belli ma assoluti per nulla) e ci innamoriamo di questi eroi melanconici che consumano la loro vita nel Missouri, e non sappiamo nulla di quello che si scrive in casa nostra, dei nostri panni sporchi, finché non parlano in tv della morte di Riina e magari un ragazzo ti chiede chi è, e tu a chi dai la colpa se non lo sa, a lui che non si informa o a te stesso che non hai saputo dirglielo?

venerdì 17 novembre 2017

piccole gioie

Claudia mi ha detto una cosa carinissima. Ieri ha comprato Rivelazione e ha cominciato a leggerlo. Si è commossa, ha cominciato a piangere e non ha più smesso di leggere fino alle tre di notte. Poi mi scrive Nathalie, sempre su Rivelazione: Ho il tuo libro in mano e mi rendo conto di sorridere per tutto il tempo, è una delizia! Ti lascio che devo continuare a leggerti. Piccole gioie di uno scrittore da tre soldi.

giovedì 9 novembre 2017

la salute del papa

«E la salute, la salute del papa?» si informò l’industriale. 
«I papi» disse Don Gaetano «sono sempre in buona salute. Si può dire, anzi, che non solo muoiono in buona salute ma di buona salute. Parlo, si capisce, di salute mentale» rivolgendosi all'industriale «poiché la sua domanda, indubbiamente senza malizia, a quella alludeva… Altri mali, altri acciacchi, non contano». 
«Già» io dissi «non si è mai dato il caso di un papa che per età, per arteriosclerosi, cominci a sragionare. Voglio dire: non si è mai saputo». 
«Non si è mai dato, appunto» disse il cardinale. 
«Non si è mai saputo» ribadii. 
«Le cose che non si sanno, non sono» disse don Gaetano. 
«Io direi che certe cose possono non sapersi, ma sono» risposi. 
«Sì, d’accordo. Ma tenga presente che stiamo parlando della Chiesa, del papa» disse Don Gaetano. «Una forza senza forza, un potere senza potere, una realtà senza realtà. Quelle che in ogni altra cosa mondana non sarebbero che apparenze, a nascondere o a mistificare, nella Chiesa e in coloro che la rappresentano sono le interpretazioni o manifestazioni visibili dell’invisibile. E cioè tutto…» 

Leonardo Sciascia, Todo Modo, Adelphi

martedì 7 novembre 2017

grandezza

«Giacomo Noventa mi insegnò una cosa, che un poeta non deve aspirare alla mediocrità, ad essere “abbastanza bravo”. Un poeta deve aspirare alla grandezza». 

Giovanni Giudici

il serpente che si mangia la coda (ovvero l'ennesima storia editoriale senza lieto fine)

Mi scrive un giovane poeta per informarsi meglio del concorso che stiamo promuovendo, Luce a Sud Est. Il bando dice chiaramente che si vince (se si vince) la pubblicazione. Ma lui mi chiede (se vince) se invece gli diamo un premio in denaro. Gli rispondo che no, da regolamento si vince solo la pubblicazione, che comunque per noi ha un costo in denaro. Lui mi dice che della pubblicazione, oggi che ci sono i social, non sa più che farsene, gli basta il suo profilo con più di 5000 amici, quindi preferirebbe avere, se si potesse, il corrispettivo dei costi di stampa in denaro. Infatti, aggiunge, lui ad oggi non ha ancora pubblicato un solo libro ma tutti i giorni pubblica una poesia che ha decine di like. Gli basta quello. Gli dico che va bene, ho chiara la situazione, rispetto le sue scelte, ma noi al vincitore diamo per regolamento la pubblicazione: io non posso fare eccezioni e lui può benissimo partecipare a un altro concorso. Ma lui non demorde, e mi risponde che si è scocciato, perché è convinto di essere bravo, come dimostrano le decine di like che prende per i suoi versi, e si meriterebbe di vincere premi più importanti di quelli che danno in genere ai concorsi per poeti inediti (se va bene 150-200 euro), cioè in soldini i premi che si danno ai concorsi grossi dove ci si presenta con una pubblicazione (dalle 1000 euro in su). Ma se prima non pubblichi un libro, gli dico, a quei concorsi non accedi, è un processo scalare, di crescita anche sul piano del prestigio editoriale. Lui però è deciso, pieno di fervore non vuole pubblicare, lo trova un sistema vecchio e poco democratico, anche perché i concorsi sono tutti truccati. Eppure, se per quello che scrive gli basta la conferma dei social, allo stesso tempo vorrebbe anche una conferma economica, senza però passare dalle librerie. Insomma, continuiamo a rigirare sulle stesse corde per mezz'ora circa. Poi si scoccia di sentirmi dire che non caccio un euro per il concorso (se lo vince) e smette di rispondermi.

lunedì 6 novembre 2017

dalla sicilia con furore

Pensando alla Sicilia e a tutte le chiacchiere e i discorsi che si stanno facendo in queste ore, l'unica cosa che mi viene in mente è una frase di Gesualdo Bufalino che esprime tutta la mia povera e ridotta (lo confesso) visione politica, che diceva: "La mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari". Per questo credo che non ci sia salvezza nella politica, oggi, in Italia. Perché ancora non ne ho sentito uno che, parlando dei grandi problemi che affliggono questo paese, ritornasse ai fondamentali, alle basi, alla scuola intesa come formazione dell'individuo e non come parcheggio. Sarò noioso, lo so che torno sempre sullo stesso punto, ma è che ho ancora davanti il ricordo di mia nonna, contadina, che mi diceva che il momento in cui si è sentita più orgogliosa di sé è stato quando ha imparato a leggere. Mia nonna, con quel briciolo di cultura che si era conquistata sudando, era più libera dei tanti precari laureati, pieni di nozioni indirizzate alla ricerca del postofisso, ma senza un cuore del proprio sapere che dia l'esatta dimensione della loro profondità umana. Di chi è la colpa se sono così? Mia no di certo. Forse di qualcun altro più vecchio di me. O come diceva pochi giorni fa Camilleri, altro siciliano (cito a memoria): "Ho creduto anche io nel sogno di rifare nuova l'Italia, fra '45 e '48, ma mi porto nella tomba il rimorso di lasciare a mia nipote questo paese disastrato". Il danno è fatto. E i problemi seri, oggi, si risolvono con ben altro che con la licenza elementare, come ben ci rammentano tutte le persone preparate e lungimiranti che parlano in queste ed altre ore, a tutte le ore, senza mai un dubbio e qualcuna addirittura senza nemmeno l'istruzione.

venerdì 3 novembre 2017

lezioni di stile a un poeta

Mi dicono che eccedo in punti esclamativi
e che la vera classe è data a noi poeti
da una voce piana, in media res, che non
chieda mai ragione in quanto sa. Già sa.

Io però di medio – poiché sono mediocre –
ci metto solo il dito, che mi scatta spudorato
per un verso ben riuscito. Il dito orgasmico
puntato verso il retto dei professorini…

non ha prezzo

Ecco il momento in cui mio fratello, musicista diplomato in conservatorio e abituato alla crema della musica operistica europea, viene da me chiedendomi consulenza per il corso di musica pop che sta facendo e io gli infilo le cuffie nelle orecchie e faccio partire Clash, Rem, Bowie, Iggy e Lou Reed, non ha prezzo. Per tutto il resto non c’è niente, non l’hanno ancora inventato e se l’hanno inventato non è altrettanto bello.

giovedì 2 novembre 2017

bene

Ieri siamo andati da Enzo Cervellera per parlare della rivista Locorotondo e ricostruirne un po’ la storia. Così Enzo se n’è uscito con uno dei suoi aneddoti: «Eravamo in piazza, io, Franco Basile e Vito Mitrano, che guardavamo da una parte e Peppe Guarella, che guardava dall’altra. A un certo punto abbiamo sentito risuonare il passo, alle nostre spalle, di tacchi importanti. Peppe, che era l’unico girato da quella parte, comincia a fare segno a Vito Mitrano: “Tuccio, treminde ddè! treminde ddè!” Ci giriamo tutti quanti e vediamo questa stangona alta, imponente, bellissima. Vito se la guarda dalla testa ai piedi, poi si gira verso di noi e dice: “Alla mia età, l’unica cosa che si alza è la pressione!”». Ridiamo. Poi Enzo abbassa lo sguardo, e con un pizzico di malinconia aggiunge: «Sono stato un uomo fortunato, perché ho conosciuto persone di grande prestigio e intelligenza che mi hanno voluto bene, e io ne ho voluto a loro».

mercoledì 1 novembre 2017

ballare su una lama di rasoio

Nel 1987, in una intervista radiofonica, domanda delle domande, chiesero a Keith Jarrett di descrivere cosa fosse per lui la musica. Jarrett, senza scomporsi, cercando di sintetizzare i suoi sentimenti e la sua idea di ricerca artistica, rispose citando il verso di una canzone di Bob Dylan, Shelter from the storm, del 1974: "Beauty walks a razor’s edge", la bellezza cammina su una lama di rasoio. Dylan, però, conclude il verso aggiungendo con una eco tutta keatsiana: "Someday I'll make it mine", un giorno la farò mia, la bellezza. Jarrett questo lo omette, si ferma prima, non gli interessa. Non chiede di afferrarla, conquistarla, farla sua, quanto piuttosto di poter continuare a ballare con lei su una lama di rasoio. 

halloween

m’à pegghjète nu freddullazze de chíre
ca se sckàffe jínte all’ossere
ca me sentève già int’u tavùte
i me ne scève p’a chése amanteddéte
sotte i sette mànte cum a Bin Laden.


Traduzione:

HALLOWEEN
mi ha preso un freddo di quelli
che si infila nelle ossa
che mi sentivo già dentro la cassa
e me ne andavo per la casa avvolto
nelle sette coperte come Bin Laden.